È durato nemmeno quattro giorni il canto del De Profundis che ha avvolto la squadra del Napoli, dopo la sconfitta di San Siro contro l’Inter, posto che una squadra come quella di Spalletti conosca davvero il significato della parola sprofondare. Le undici vittorie di fila in Serie A – nonché il modo in cui sono arrivate e in cui gli azzurri hanno guadagnato il plebiscito internazionale – non possono certo essere oscurate dalla prima vera battuta d’arresto, avvenuta anche per meriti dell’Inter. Mentre, però, i nerazzurri non sono stati capaci di dare seguito a quanto fatto il 4 gennaio, facendo harakiri in quel di Monza, il Napoli si è rialzato immediatamente, scrollandosi di dosso i dubbi e onorando al meglio l’impegno delicato in casa della Sampdoria e la memoria degli uomini di calcio a cui la mente, inevitabilmente è andata: Siniša Mihajlović e, soprattutto, Gianluca Vialli, uomini simbolo della parte doriana di Genova ma è giusto estendere il loro impatto almeno a tutto lo stivale. Ecco, dunque, che giocare per meritarsi i risultati, senza mai speculare, dando il proprio meglio in campo e non dando mai per scontato l’avversario, vuol dire partecipare di quello stesso bene che Siniša e Gianluca hanno fatto per questo sport e per questo mondo.
Il Napoli, perciò, con estro, calma e maturità si conferma saldamente al primo posto – con il titolo di Campione d’Inverno conquistato con due giornate d’anticipo – vincendo, senza perdere altro terreno e anzi, guardando con relativa tranquillità il Milan e la Juventus appaiati al secondo posto alle sue spalle, con i bianconeri prossimi avversari al Diego Armando Maradona.
Arbitra delle fortune azzurre è stata la Sampdoria che, all’interno di uno stadio Marassi ricolmo di emozione e gratitudine per le leggende che furono, nulla ha potuto contro chi leggenda lo vuole diventare, stagliandosi per sempre nel libro di storia del popolo partenopeo. Lo 0-2 maturato domenica scorsa ha visto un Napoli compatto dall’inizio alla fine, che ha saputo gestire i momenti di euforia blucerchiata, all’inizio, e quelli propri di possibile rilassamento dopo essere passato in superiorità sia nel risultato che negli uomini in campo. Il risultato è stato quello di una vittoria fondamentale proprio perché, sebbene lo sviluppo in discesa nei 90’, non era affatto scontata alla vigilia.
La Genova blucerchiata, tuttavia, evoca sempre anche dei ricordi amari, specie quando si parla di scudetto, dal momento che proprio la Sampdoria, trentadue anni fa, scucì il tricolore al Napoli e lo fece, di fatto, proprio in una sfida casalinga contro gli azzurri – quel giorno in maglia rossa – in una domenica di fine marzo del 1991. Sembrava una normale domenica di calcio, normale si fa per dire o, per lo meno, per gli standard esibiti dal Napoli nel campionato 1990/1991, decisamente involuti verso la mediocrità. Quel giorno, invece, sarà ricordato per sempre come il passaggio di consegne tra il Napoli scudettato di Alberto Bigon e la Sampdoria di Vujadin Boškov, gli azzurri di Ferlaino e i blucerchiati di patron Mantovani, nonché il gruppo squadra – non più tanto unito – di Diego Armando Maradona e la diarchia guidata dai due gemelli del gol Gianluca Vialli e Roberto Mancini. C’era tutto questo quel 24 marzo e ce lo si poteva attendere per l’andamento del campionato fino a quel punto. Quello che, invece, era meno pronosticabile era che quel pomeriggio, il Pibe de Oro giocasse per l’ultima volta con la maglia del Napoli, mettendo a segno il suo ultimo gol.
A quella partita assistettero circa trentamila spettatori, i quali, oltre all’ultimo canto di Diego, ebbero la fortuna di ammirare un uragano chiamato Gianluca Vialli, con già più di 100 gol con quella maglia. Quel giorno ne mise a segno altri due, al cospetto del Dio del calcio che di lì a poco sarebbe stato detronizzato, e non solo nell’ambito calcistico della Serie A. Di quella magica Samp Vialli era il frontman musicale, insieme al suo gemello del gol Mancini, e tanti, al posto giusto, suonavano per loro e per tutta la gente: tra loro c’era Toninho Cerezo, esperto centrocampista alla soglia dei 36 anni; Attilio Lombardo, motorino instancabile della fascia, tra l’altro di origini campane; Gianluca Pagliuca, uno dei portieri più grandi del panorama italiano, titolare in ben due spedizioni mondiali, del ’94 e del ’98. Furono proprio Cerezo e Lombardo ad aprire e chiudere quel Sampdoria-Napoli del 24 marzo, finito 4 a 1, con lo stesso risultato che era maturato al San Paolo nella gara d’andata. In mezzo, la doppietta di Vialli, che non lasciò alcuno scampo al portiere partenopeo Giovanni Galli, e tre gol di Maradona, di cui uno solo considerato valido dalla terna arbitrale. Con la solida freddezza, infatti, il Pibe realizzò un rigore assegnato dopo un fallo in area blucerchiata su Gianfranco Zola ma dovette riposizionare il pallone sul dischetto per presunte irregolarità nella stessa area: Pagliuca battuto due volte e gap con i blucerchiati ridotto. Sarebbe stato ridotto ulteriormente, tuttavia, se solo l’assistente non avesse ravvisato un fuorigioco su un’altra rete di Maradona lanciato a tu per tu col portiere.
L’ultimo gol del Pibe in Serie A, con la maglia più amata, è, di fatto, un gol in fuorigioco, una bugia, come il gol della Mano de Dios, una “menzogna calcistica” – per l’irregolarità del gesto di toccare la palla con il braccio alzato – che, tuttavia, rimarrà racchiusa per sempre nello stadio Azteca di Città del Messico, un calderone dove le emozioni e la mistica del calcio di ogni tempo vivranno finché ci sarà quel clima di passione che fa di certi posti, un habitat naturale. Ecco, lo stesso discorso vale per Marassi, tabernacolo, in eterno, dell’ultima gioia di Diego nel nostro campionato, prima che le contingenze lo spingessero lontano, in una notte primaverile ma gelida. Se proprio non doveva essere il San Paolo il luogo dell’ultimo gol, è stato giusto che ad ospitarlo, sia stato, trentadue anni fa, lo stadio di Genoa e Samp, due squadre che esattamente come il Napoli vivono del tifo autentico di chi va ben oltre i trofei per emozionarsi e sa, come pochi, accogliere i propri figli, tenendoli per sempre con sé.
Il figlio più amato della Genova sampdoriana, ovvero Gianluca Vialli, è scomparso il giorno dell’Epifania al termine di un percorso vissuto in coabitazione con un tumore al pancreas – come lui stesso amava rappresentarsi la malattia – dopo aver unito tutt’Italia: lo ha fatto nei mondiali del ’90 come in occasioni dello scorso Europeo – in qualità di capo delegazione del gruppo squadra – e, in generale, ha fidelizzato con il popolo italiano e non solo in questi ultimi cinque anni con la notizia dei suoi problemi di salute. L’uomo, prima ancora che le sue vicende, hanno unito tutti e continueranno ad unire, nel nome di ciò che è bello, vero ed eterno, come un gol racchiuso per sempre all’interno di uno stadio.
Fonte foto: pagina ufficiale Instagram di Gianluca Vialli