Pillole di Calcio – L’ultimo tango di Messi e Cavani: come si è chiuso un cerchio nel segno dell’Argentina e di Diego

“Tutto si è compiuto”. Cominciava così una speciale Pillola di Calcio di circa undici mesi fa, perché uscita eccezionalmente il giorno del Natale per celebrare quel miracolo piacevolmente profano rappresentato dalla vittoria dei Mondiali in Qatar da parte dell’Argentina. Da parte di Lionel Messi.
Rieccoci qua, a 2023 quasi finito, e sempre una settimana dopo, a celebrare un altro traguardo del Dies di Rosario che, lo scorso 30 ottobre, è stato premiato col Pallone d’Oro e non c’è bisogno di spiegarne il motivo.
Per l’ex Barcellona, PSG e attuale numero dieci dell’Inter Miami di patron David Beckham si tratta dell’ottavo riconoscimento di France Football, a quattordici anni dalla prima volta. La sensazione è che questo sia per Leo l’ultimo e il più importante di tutti, quello dal valore umano e sportivo più inestimabile, perché giunto a premiare quella sua esibizione metafisica nel Mondiale 2022 e poi perché, molto banalmente, per alzare al cielo quella coppa, Messi avrebbe tranquillamente barattato i primi sette Palloni d’Oro. Per il momento, alla destra e alla sinistra del “Padre” ci sono Haaland e Mbappé con il francese che avrebbe avuto la strada spianata se solo il Dibu Martinez non avesse compiuto su Kolo Muani la parata più importante (forse) della storia di questo sport. E naturalmente stiamo parlando sempre della finale Mondiali del 18 dicembre 2022. Messi ringrazia, dunque, Emiliano Martinez che, nel frattempo viene premiato con il premio Jašin in qualità di miglior portiere della scorsa stagione. Al giovane re di Parigi e al biondo principe norvegese, dunque, l’onore di battagliare per i prossimi anni, ma occhio alle stelle provenienti dalle retrovie… o, chissà, alla nona sinfonia di Leo.

Non aveva ancora finito Messi con la sua vecchia e mai amata Parigi, in questo 2023 che lo ha visto vituperato dallo stato maggiore e dai tifosi del Paris Saint-Germain, che forse non gli ha mai perdonato quella doppietta in finale Mondiali e una grandezza oltre ogni misura, anche oltre il loro figlio prediletto Kylian. Figlio di Parigi Leo non lo è mai stato, con quell’accento rosarino che mal si è sposato con la “r moscia” delle strade intorno alla Tour Eiffel e che invece aveva messo radici a Barcellona.
Chi ha toccato le sponde catalane e della provincia di Santa Fe a Rosario è stato Diego Armando Maradona, e sì, Messi è e sarà per sempre la sua emanazione più grande oltre che il suo più devoto figlio calcistico. “La leggenda di Diego è troppo ingombrante per Lionel”, “L’ombra di Maradona è un problema per Messi”, “Solo dopo la sua morte Messi è riuscito a vincere qualcosa con la nazionale argentina”: questo è l’ordine dei discorsi che in genere si sente intorno a loro, nel segno della metafora delle ombre, dei pesi. Ci piace, invece, ribadire quanto il primo abbia fatto del bene al secondo, sia prima che dopo quel 25 novembre 2020, sia quando Diego era CT dell’Albiceleste, sia ora che non è più tra noi. Diego illumina da sempre, Messi ne cattura la luce come nessuno e poi ce la dona gratuitamente, ogni giorno.
Diego e Leo: il connubio del calcio che si riproporrà sempre meno sul campo nei mesi a venire ma che invece ha brillato come raramente è accaduto sul palco del Théâtre du Châtelet, in occasione della consegna del Pallone d’Oro dello scorso lunedì 30 ottobre, guarda caso il giorno del 63esimo compleanno di Maradona: “Vorrei ringraziare Diego. Non ci sarebbe posto migliore per augurare un buon compleanno. Buon compleanno, Diego, ovunque tu sia”, le parole di Messi dal pulpito del premio individuale più ambito.

Dopo tre anni, Diego continua a vivere, anche in una serata di gala, dove due o più campioni sono uniti nel nome del fùtbol, e in fondo è giusto che a ravvivare la memoria del suo fuoco sacro sia stato, per l’ennesima volta, Lionel Messi.
Tuttavia, quel fuoco lo ha ravvivato eccome, Benjamin Kohan, un piccolo tifoso del Boca Juniors, diventato virale a poche ore della Finale di Coppa Libertadores che gli Xeneizes hanno perso 2-1 contro la Fluminense lo scorso sabato 4 novembre. “Abbiamo venduto la mia play e la moto di mio padre per venire qui e non abbiamo neppure il biglietto per entrare allo stadio, ma guarda tutto questo, guardalo…questo è il Boca!”. Sono circa venti milioni le visualizzazioni – e in nemmeno un giorno – del filmato in cui Benjamin urla queste parole, in preda ad un’estasi generata dal clima che si respirava fuori al Maracanà di Rio de Janeiro, lo stadio della finale. Nonostante il cattivo esito della partita, varrebbe comunque da dire il più classico dei “tutto è bene quel che finisce bene”, dal momento che il piccolo tifoso del Boca, alla fine, è riuscito ad entrare allo stadio grazie a Pampita (al secolo Ana Carolina Ardohain Dos Santos), una modella argentina tifosissima del Boca che ha donato i biglietti a Benjamin e alla sua famiglia.

“Dale Boca”, “Forza Boca”, verrebbe da dire, così che tanti bambini come Benjamin possano coronare il loro sogno, a partire dal prossimo anno. Tra questi ce ne sarebbe uno, un po’ più grande, della stessa età di Leo Messi (ovvero 36) e, se vogliamo dirla tutta, nemmeno argentino: Edinson Cavani. “Darei tutto quello che ho per vincere la Libertadores con il Boca. Onestamente pensi al momento in cui siamo andati in finale e a tutto quello che è successo. Non penso tanto a quello che ho dovuto attraversare nella mia carriera, ma al presente, a cosa c’è da vivere, per cui giocare. È la partita della mia vita”. Lui che una finale l’aveva decisa con un rigore contro la Juventus in una finale di coppa Italia vinta dal Napoli di Mazzarri nel maggio del 2012. L’avrebbe barattata volentieri quella coppa con quella “Champions sudamericana”, così come i sette Palloni d’Oro di Messi di cui sopra. I tifosi del Napoli possono dormire sogni tranquilli, in fatto di albo d’oro, ma il vecchio beniamino uruguagio un po’ meno. Eppure quel percorso di coppa avuto con il Boca aveva tutti i crismi per entrare nella leggenda: nessuna partita vinta nella fase ad eliminazione diretta, per la squadra allenata da Almiron, ottavi, quarti e semifinali superati ai calci di rigore, con una finale conquistata ai danni della superpotenza brasiliana del Palmeiras. Un’eco perfetta dell’impresa più straordinaria della storia del calcio, compiuta dall’Uruguay (guarda caso) nella finale dei mondiali del ’50, da stra-sfavorito, contro il Brasile dei semi-dei. A distanza di settantatré anni, la storia ha deciso di seguire un percorso più lineare e coerente con i valori delle due contendenti: da una parte, un Boca Juniors in cerca di nuova vita dopo aver smarrito la bussola della grandezza a causa degli acerrimi rivali del River Plate; dall’altra la Fluminense, uno dei tre all-star team dell’America Latina – insieme a Palmeiras e Flamengo – che a turno si prendono la gloria continentale e che è magistralmente guidata da Fernando Diniz, tra l’altro CT ad interim del Brasile, in attesa di Carlo Ancelotti.

Ultimo tango a Parigi, dunque, quello di Messi, scomodatosi da Miami per l’ultimo smacco a quella Francia che lo ha accolto con spocchia; ultimo tango di Edinson Cavani, tuttavia in Brasile, terra della Capoeira, contro una squadra ineluttabile per le forze del Boca: non potevamo però non celebrare una settimana di passione tutta argentina, dicendo grazie a due campioni – il secondo un po’ più “umano” del primo – che hanno onorato e continuano ad onorare il calcio come pochi, come Diego e come del resto fa, a modo suo, il piccolo e promettente tifoso xeneize Benjamin.