Pillole di Calcio – La madre di tutte le partite la vince il Napoli. Cosa vuol dire questo 2-1 alla Juve e un pensiero per Pogba

Adda passà a’nuttata, certamente era ciò che i ripeteva la piazza napoletana due settimane fa, in preda a quel sentimento di impotenza che accompagnava alla porta il secondo tecnico stagionale, Walter Mazzarri. Faremmo bene ad ometterla, la sua gestione 2.0, quando racconteremo del mister livornese ai nostri nipotini: Lavezzi, Cavani, Hamsik, la Coppa Italia, il Chelsea, le triplette del Matador e basta. Meglio così.
Meglio ripartire da tal Francesco Calzona. Di lui si è detto tanto, si è detto dei suoi trascorsi a Castelvolturno con Sarri e nel primo anno di Spalletti, si è detto del doppio incarico da tecnico del Napoli e da CT della Slovacchia. Importa, però, di più ciò che lui sta dicendo a noi attraverso il campo e cioè che la squadra sta ritrovando il fuoco sacro dei tempi migliori, che i suoi mentori sopra avevano saputo incanalare nel migliore dei modi. Il Napoli “metacognitivo” di Calzona è quello in cui i giocatori vengono messi di fronte alle proprie responsabilità e nel frattempo riannodano i fili di quella idea tattica a loro tanto cara. Calzona sta portando il piacere di riscoprirsi belli. Tra una settimana, in quel di Barcellona, capiremo se i calciatori azzurri si saranno nuovamente riscoperti capaci di fare miracoli.

In dieci giorni non si fanno miracoli, quindi il merito è del gruppo che sta cercando di ritrovare la propria identità”. Nel frattempo, però, sempre Calzona allontana l’etichetta di taumaturgo, ovvero di colui che guarisce con la sola imposizione delle mani. Modestia? Forse. Soprattutto se queste dichiarazioni avvengono alla fine della madre di tutte le partite, ossia Napoli-Juventus, vinta per 2-1 dai padroni di casa. Certamente la strada imboccata per uscire dal tunnel è quella giusta, banalmente perché questa squadra è ritornata a far paura sotto porta e il modo in cui ci arriva non è casuale bensì lavorato pazientemente. I numeri della sfida del Maradona con i bianconeri dicono di un 71% di possesso palla, di 580 passaggi completati, cioè quasi tre volte quelli fatti dagli avversari. Tutto ciò ha prodotto 116 attacchi, 14 tiri di cui 7 in porta e un considerevole 2,19 di expected goals e cioè il numero di reti che una determinata squadra o giocatore si aspetta di segnare in base alla qualità e al numero di tiri effettuati (col Barcellona era stato 0,95 e in Lazio-Napoli addirittura 0,13). Numeri d’alta classifica a cui aggiungiamo delle vere e proprie istantanee di come i calciatori stanno in campo, a partire da una linea di difesa che sta alta, senza paura né di Vlahovic e Chiesa, né tantomeno di sbagliare di nuovo come a Cagliari, nel caso specifico di Juan Jesus. Di errori rischiosi ne ha commessi sicuramente il Napoli, nella serata dello scorso 3 marzo, ma in un’annata di svarioni a più non posso, meglio peccare seguendo idee virtuose.

Appunto, l’annata. Ma quella del Napoli è compromessa? L’abbiamo fatta troppe volte questa domanda. Troppi sono stati i crocevia stagionali, a partire dalla sfida d’andata proprio contro la Juventus, e poi la Supercoppa e persino qualche incrocio minore che il Napoli ha fallito, ultimo quello con il Genoa che è costato la panchina a Mazzarri. La sensazione è che la “tagliuola” cadrebbe implacabile se a Barcellona non dovesse andar bene. In quel caso resterebbe una rincorsa all’Europa – piccola, media o chissà – che è di fatto già ripartita con l’avvento di Calzona. Paradossalmente, il 2-1 alla Juve è un cattivo presagio in tal senso. Infatti, da quando il Napoli è tornato in Serie A, diciassette anni fa, solo in quattro stagioni si è reso necessario il cambio di allenatore: 2008/2009 con Donadoni per Reja, l’anno dopo con Mazzarri che rimpiazza l’ex CT, nel 2019/20 Gattuso sostituisce Ancelotti e, infine, il doppio cambio di questa stagione. Ebbene, in tutte queste quattro annate, il Napoli è stato corsaro in casa sua contro i bianconeri. In tre di queste quattro la vittoria è stata sofferta e condotta in porto per 2-1 ma la stagione si è conclusa, nella migliore delle ipotesi, con un sesto posto, nell’unico anno di Quagliarella.
Ecco perché Napoli Juve va oltre ogni fisiologica crisi. È una questione di endorfine, di sfide con la storia che si combattono per la sopravvivenza di un ideale nonostante l’egemonia secolare di quell’altro. Forse, in seguito, le ferite di una stagione storta torneranno a bruciare e a farsi sentire come prima – anche se nessuno se lo augura – ma la verità è che mai come la scorsa domenica, quello scudetto si è sentito a casa, sulla maglia di quei calciatori che facevano a sportellate contro i rivali di sempre, nella propria casa.  

Altra ironia della sorte avversa è toccata a Paul Pogba, a cui è stata inflitta una pesantissima squalifica di quattro anni per doping, a tre giorni da quella che un tempo era anche la sua partita. Lui più dei suoi compagni di squadra, nel triennio dal 2012 al 2015, aveva scelto il Napoli e anche la città di Napoli per mettere in mostra i pezzi più pregiati della sua neonata bottega d’arte. Il mondo del calcio lo aveva ammirato con gli occhi spalancati in un normalissimo sabato autunnale, il 20 ottobre del 2012, quando un tiro al volo di un giovane semisconosciuto parte da molto lontano e non lascia scampo a De Sanctis. Un anno dopo, ma nella porta opposta, la stessa sorte tocca a Reina, nella più classica “sfida scudetto” di inizio campionato che il Napoli spesso perdeva lasciando un’autostrada verso il titolo dei bianconeri. Non era di certo un testa a testa, quello tra Napoli e Juventus dell’11 gennaio del 2015. Il Napoli di Benitez, anche quello con la testa poi alla coppa, contro la prima Juve di Allegri. Il giovane Paul, al minuto 29 raccoglie una palla vagante al limite dell’area azzurra, abbastanza defilato verso la sinistra dei teleschermi, e sempre al volo – marchio di fabbrica del francese – punisce gli azzurri, ma glorifica lo sport che tanto amiamo. A farne le spese, quella volta, è il portiere Rafael Cabral, eroe tre settimane prima nella finale di Supercoppa vinta dagli azzurri allo stadio Jassim bin Hamad di Doha, in Qatar.
Il male “calcistico” che Paul Labile Pogba ha fatto al Napoli non è minimamente paragonabile a quello che nei successivi anni, lo stesso calciatore ha poi inflitto a se stesso e a tutti coloro che si aspettavano di vederlo ad alti livelli ancora per un po’. Per certi versi, la parabola del francese ex Juve e Manchester United ricorda quella del più grande di tutti, guarda caso re in quello stadio in cui Pogba dominava quando vi metteva piede. Un mondiale da protagonista, la coppa alzata – nel caso di Paul anche un gol in finale – poi il declino, la cacciata nottetempo con divieto assoluto di allenarsi con i propri compagni. C’è chi, negli ambienti torinesi di colore bianconero, starà tirando un sospiro di sollievo per quello sgravio da 10 milioni sulle casse societarie circa perché in fondo, “Pogba è stato un errore di mercato”, “Ci costava troppo”, “Era un ex calciatore”, “Si faceva sempre male”, “Evviva. Non dovremo più pagarlo”, “Non è più un problema nostro”. È questa, più o meno, la narrazione che gravita attorno all’essere umano Paul, un eterno bambino mal consigliato, che ha sbagliato e che forse pagherà più di quanto non meriti la sua colpa, ossia aver assunto – dietro guida medica – una sostanza vietata nel nostro Paese da circa dieci anni.
In attesa di nuovi sviluppi e di eventuali ricorsi da parte di Pogba, ci sentiamo di dire che forse non sarà totalmente un male vivere in assenza di grazia, lontano dai riflettori del campo, per chi è alla ricerca della vera pace e di una felicità che solo quei gol in Napoli-Juventus gli provocavano.

Fonte foto: SSC Napoli