Pillole di Calcio – E se otto anni fa il Napoli di Sarri avesse battuto l’Atalanta del Gasp? Storia di un esonero già scritto e di un autentico capolavoro

Mola Mia. Tranquilli, nessuno qui ha problemi ai denti e anche se ce li avessimo non verremmo a spiattellare il tutto in quello che vorrebbe essere un articolo di rubrica calcistica. “Mola Mia”, a Napoli e dintorni, avrebbe i contorni di una disperata esortazione al proprio molare affinché smetta di cagionare dolore, mentre un po’ più a Nord è un vero e proprio mantra di vita. Si tratta, infatti, di una frase in dialetto bergamasco che è da sempre il motto di questa città lombarda e dei suoi abitanti. Tradotto in italiano: “Mai mollare”. Almeno da quelle parti, ogni giorno e per i motivi più disparati, qualcuno dice a se stesso di andare avanti, di non mollare: su un cantiere, in ufficio, in una scuola. Quattro anni fa, immaginiamo che tutti, a Bergamo, cantassero Mola Mia all’unisono nella più drammatica delle situazioni, che tutti noi ancora ricordiamo. E poi c’è il calcio, la più importante delle cose meno importanti: e se a Bergamo dici “pallone” allora dici Atalanta e, dallo scorso mercoledì, se dici “Mola”, devi aggiungerci il prefisso Ade.
Ademola è il nome di Lookman uno che il fuoco dell’inferno ce l’ha nel nome e che in una sera di fine maggio, sotto il cielo d’Irlanda ha deciso di riversarlo tutto sul malcapitato Bayer Leverkusen di Xabi Alonso. Tre gol del nigeriano, prima (e pesantissima) sconfitta stagionale per le Aspirine tedesche e Atalanta sul tetto d’Europa. Un autentico capolavoro.

Ah già, quasi ci stavamo dimenticando che questo capolavoro lo ha plasmato Gian Piero Gasperini, come solo il più esperto degli artigiani potesse fare.
Cresciuto nella Juventus sia come calciatore che come allenatore, Gasp vanta anche due parentesi non esattamente indimenticabili in Campania, tra Cavese e Salernitana, prima dell’addio al calcio giocato con la maglia della Vis Pesaro.
È, quindi, ancora la Juventus a lanciare un ormai quarantacinquenne Gasperini ad alti livelli e con i gradi di allenatore. Lui, nel frattempo, ricambia con una vittoria al torneo di Viareggio nel 2003, quando questo torneo giovanile contava ancora qualcosa nel panorama internazionale. Le tappe successive sono Crotone e, soprattutto, Genova. Quel 10 giugno del 2007, quando il Napoli ottiene la promozione in Serie A, è proprio il Genoa del Gasp ad ospitare la festa azzurra e festeggiare esso stesso la risalita in massima serie, al termine di un pareggio che significava per entrambe “il ritorno in Paradiso”. In Serie A, l’aria non è poi così malsana anzi, proprio il nuovo Grifone targato patron Preziosi/Gasperini comincia a ridefinire i concetti di un calcio nuovo, propositivo: “dai (la palla) e vai” anziché “dai e stai” propugnato da tecnici dalle idee invecchiate. Un calcio quasi totale con interpreti come i napoletani Salvatore Bocchetti, Mimmo Criscito, Raffaele Palladino e poi Thiago Motta, Omar Milanetto, Diego Milito. Dopo quasi vent’anni sono loro a portare il Genoa in Europa League, accompagnati per mano da quel maestro torinese che quindici anni fa aveva già i capelli bianchi.
Il post-Liguria è ai limiti del traumatico: nell’estate del 2011, il matrimonio tra Gasperini e l’Inter campione del mondo in carica dura giusto il tempo di firmare le carte per il divorzio, sancito poi in quel di Novara in un triste turno infrasettimanale del 20 settembre. Un anno dopo non va meglio a Palermo, già in aria di smantellamento rispetto ai fasti europei di due anni prima. Tocca perciò tornare a respirare l’aria della Genova rossoblù. L’aria ligure è da sempre salubre per i piemontesi: una nuova qualificazione alle coppe europee, grande calcio e un triennio che, se non altro, lo riabilita. Ad attenderlo, per il campionato 2016-2017, c’è l’Atalanta di patron Percassi, evidentemente stufo dei Reja, Colantuono e di quei dai e stai di cui sopra, e intenzionati a proporre al pubblico bergamasco qualcosa di più rispetto alle risicate salvezze degli ultimi 4 anni.

Se penso a quando sono arrivato c’era una squadra di giovanissimi che non giocavano. Erano tutti in disparte. Poi a dicembre, dopo 4-5 mesi, abbiamo avuto Caldara alla Juventus, Gagliardini all’Inter, Kessie e Conti praticamente già venduti al Milan, Bastoni all’Inter. Questo già al primo anno.  

Ecco cosa ha raccontato Gasperini all’allora giornalista di Radio Serie A Alessandro Alciato lo scorso 22 novembre. Quello è stato il bigliettino da visita ricevuto da mister Gian Piero una volta arrivato a Bergamo. Tanti giovani oscurati per lo più da alfieri della vecchia gestione che, come tali, meritavano di partire in alto nelle gerarchie. L’esordio in campionato è “balneare”, non perché datato 8 agosto 2016 ma per l’altalena di azioni, gol e soprattutto di errori grossolani con protagoniste la Lazio di Simone Inzaghi e la primissima Dea di Gasp. Il finale è un 4-3 per i romani a cui poi faranno seguito altre sconfitte ravvicinate con Sampdoria (2-1), Cagliari (3-0) e persino col già derelitto Palermo (1-0 davanti al pubblico casalingo di Bergamo).

Gentile mister, ci dispiacerebbe sapere che ha già disfatto i bagagli”: in Italia si sa, l’allenatore è un uomo solo, spesso lontano dalla famiglia, con nove giornali su dieci che ti danno contro undici volte su dieci – a meno che tu non abbia gli agganci giusti – e il tempo che latita. Non c’era più tempo per Gasp e mentre dalle scrivanie si optava, magari, per il ritorno al calcio dell’arrocco corto in difesa e dell’Ave Maria, salvaci tu! quel “pazzo” di Gasp stava per dare fiducia ad un manipolo di giovanotti e per dare inizio alla cosa più bella del calcio italiano degli ultimi 20 anni.

C’è una data che a Bergamo è quella zero: 2 ottobre, sempre del 2016. In Italia si celebra la festa dei nonni e, in effetti, in quella stagione Gasperini si presenta come il tecnico più anziano dei 20 totali. Si sa, i nonni vedono e vivono attraverso i nipoti e perciò, la nuova, prima, vera vita di “nonno” Gian Piero comincia grazie ai “nipotini” Mattia Caldara, Andrea Conti, Roberto Gagliardini, Andrea Petagna e al loro regalo alle 15:00 di quel pomeriggio, in un Atalanta-Napoli che sembrava già scritto, così come sembrava già scritto il licenziamento del tecnico dei bergamaschi.
Dall’altro lato, il Napoli di Maurizio Sarri, galvanizzato da un 4-2 roboante al Benfica in Champions League con un Milik sugli scudi e un Mertens a fare le prove generali di una stagione da falso nove da protagonista assoluto. La lotta tra gli azzurri e l’arcinemica Juventus è più viva che mai e la passeggiatina di Bergamo su un’Atalanta in zona retrocessione l’avrebbe ravvivata in meglio. Il tecnico di Figline schiera Reina, Hysaj, Maksimovic, Koulibaly, Ghoulam, Hamsik, Jorginho, Zielinski, Callejon, Insigne e Milik. Assenze non da poco, però, per il Napoli, costretto a rinunciare ad Allan e Albiol a fronte, comunque, dell’assenza per squalifica di Kessie dell’Atalanta.

Sorpresa: vittoria dell’Atalanta grazie ad un gol di Petagna al nono minuto. Gli altri nerazzurri di Lombardia si riscoprono non più così piccoli, nonostante un ventaglio di nomi non esattamente “forti”. Da quel giorno, però, la missione di Gasp e degli addetti ai lavori del centro sportivo di Zingonia è proprio quella di costruirseli da zero i nomi forti, alzando il livello di ognuno.
In principio sono stati Caldara, Spinazzola, Conti, Gagliardini e Kessié – venduti a prezzi considerevoli dai 25 mln a salire e con fortune alterne –, poi sono arrivati Bastoni, Gianluca Mancini, Cuti Romero, Rasmus Hojlund e, ultimi in ordine di tempo, Ederson, Koopmeiners, Lookman, Scalvini, per i quali si parlerà molto nella prossima finestra di mercato.

Il passaggio dell’Atalanta da realtà solida di un calcio di provincia a realtà solida e competitiva a livello internazionale rappresenta, forse, il più grande risultato del movimento italiano del pallone, forse addirittura ultimi vent’anni anni e, vista la costanza di rendimento, più grande anche dell’exploit della nazionale agli scorsi Europei. Com’è stata possibile questa trasformazione? Gasperini a Bergamo ha avuto il tempo e la fiducia necessaria per integrare i giovani del vivaio all’interno di un gruppo squadra già, di per sé, giovane ma senza gli stimoli giusti. Le congiunzioni di queste varie componenti, miste alla crisi di diverse big storiche in quel periodo, hanno fruttato alla Dea un quarto posto storico. A quello storico piazzamento in Europa League ne hanno fatti seguito tre consecutivi in Champions (’19-’20-’21) con una semifinale sfiorata nel 2020, un quarto di finale di Europa League nel 2022 e, a compimento di ciò, la conquista della stessa EL lo scorso 22 maggio, nella finale di Dublino contro i ben più quotati tedeschi del Bayer, campioni di Germania.

Ucronìa: ovvero storia alternativa. Si tratta di un genere di narrativa fantastica basata sulla premessa generale che alla storia del mondo si sarebbe sostituito un corso alternativo rispetto a quello reale se solo un evento fosse andato diversamente. Esempio: cosa sarebbe la cultura occidentale del XXI secolo se, 2300 anni fa, Alessandro Magno avesse sviluppato il regno macedone dirigendosi verso ovest anziché verso est? Cosa sarebbe successo se Napoleone avesse vinto a Waterloo? Un esempio di ucronia nella filmografia italiana, invece, è Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese. Nel calcio, l’ucronia del Napoli di Sarri che, in quel soleggiato 2 ottobre 2016, si sbarazza dell’Atalanta è una normalissima storia di calcio all’italiana in cui il più forte vince contro il più debole, che esonera l’allenatore, poi ne licenzia un altro ancora e infine retrocede mestamente. Guai, però, a pensare che a Bergamo piaccia la monotonia e la mediocrità. Quelle sono le uniche cose che hanno mollato. E ce ne eravamo accorti già da un bel pezzo.

Fonte foto: pagina ufficiale X Atalanta