Immaginate di star facendo la spesa e di ricevere una telefonata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, pronto a conferirvi un premio speciale. Quanti di voi metterebbero giù e proseguirebbero col carrello? Tutti o quasi. Invece, i signori Antonio Piccolo e Carlo Sagliocco hanno deciso di fidarsi di quella vocina cordiale dagli interni del Quirinale, non senza, però, qualche perplessità. Del resto, se da 38 anni la principale attività è insegnare il calcio a Scampia, togliendo i ragazzi dalla strada e anche dalle braccia armate della camorra, tutto ciò diventa la normalità. E perché il presidente Mattarella dovrebbe concedere il riconoscimento di Commendatori al merito della Repubblica Italiana per una cosa, a detta di questi stessi protagonisti, normale? Il motivo è scritto sulle pergamene che il Capo dello Stato ha consegnato ai signori Antonio e Carlo lo scorso febbraio: “Per aver offerto, attraverso la fondazione di una Scuola Calcio, un posto dove i giovani di Scampia si possano ritrovare e promuovere iniziative sociali”.
Ospiti dell’Estate Ragazzi di Lausdomini, in Marigliano, Antonio Piccolo e Carlo Sagliocco, ci hanno raccontato la loro storia, giunta così al culmine a inizio 2024: “Eravamo a Gragnano per comprare la pasta in vista di una festa nel nostro centro sportivo. Ad un certo punto ci arriva questa telefonata dal Quirinale. Antonio non ci credeva. Senti questi che dicono! siamo stati inseriti tra i commendatori della Repubblica. Siamo rimasti interdetti, poi con le chiamate successive ci hanno confermato”.
Antonio Piccolo, 75 anni, ex dipendente ENEL, è presidente e fondatore della Scuola Calcio Arci Scampia, nata nel 1986: “Noi abbiamo fatto sempre cose normali e ad un certo punto ci siamo ritrovati riconosciuti dalla persona più bella e importante del nostro Paese che è il presidente Mattarella, che ha avuto un’attenzione su Scampia e sulle attività del luogo. Noi pensiamo che questo riconoscimento sia dell’intero quartiere, che guarda al futuro con occhi positivi e speranzosi. Con l’Arci Scampia Noi abbiamo fatto cose normali come far giocare a calcio tanti ragazzi e ragazze. Abbiamo iniziato 38 anni fa e immaginate che percorso con migliaia di ragazzi che hanno giocato a calcio, alcuni campioni emersi ma soprattutto alcuni campioni nella vita. Abbiamo ritenuto di dover dare un messaggio non solo riguardo alla competizione ma nel crescere insieme nel rispetto delle regole. Tutto questo per noi è normalità e per questo c’è stata meraviglia alla notizia che eravamo stati nominati Commendatori della Repubblica, un titolo importante perché per noi le istituzioni hanno un grande valore e aver un riconoscimento dall’Istituzione più grande del nostro Paese è stata una grande emozione e un grande orgoglio”.

Carlo Sagliocco, 71 anni, ex operaio dell’Italsider di Bagnoli, per tutti i ragazzi dell’Arci Scampia e per i loro genitori è il mister: “Noi a Scampia cerchiamo di formare dei cittadini e di parlare a loro attraverso il calcio. Antonio ha cominciato con sette ragazzi su un campo polveroso. Ora siamo un punto di riferimento nel quartiere e siamo cresciuti insieme alle associazioni presenti a Scampia. I nostri ragazzi sono coinvolti in queste attività. A noi piace fare calcio e insegnarlo in questo modo per noi è normale. Ci fa piacere trasmettere qualcosa in più ai ragazzi e ai genitori, che vengono al centro e parlano dei loro problemi. Poi si accorgono che i loro problemi sono anche i nostri e allora cerchiamo di uscirne insieme. I ragazzi vogliono divertirsi e giocare a pallone e noi vogliamo dargli questo, insieme alla scuola naturalmente”.
Qual è, nel concreto, la parte di Scampia che andrebbe mostrata nella nostra regione ma anche al di fuori?
C. “È quella maggioritaria, perché non è possibile che un quartiere di 40 mila abitanti debba essere rappresentato da duecento delinquenti. Tra l’altro, questi stessi delinquenti hanno avuto una batosta mai vista. Non è che a Scampia ora non ci sia più lo spazio o i furti ma siamo più vicini alla normalità, come sta dappertutto. Non c’è più la piazza di spaccio che è universale, ora si cerca la normalità e la si cerca attraverso il lavoro delle associazioni”.
A. “Io non sono di Scampia. Sono nato a Posillipo, ho vissuto a Fuorigrotta, sono stato a San Giorgio e poi mi sono trasferito a Scampia nel 1979. Negli anni ’70, questo quartiere era pieno di speranza, con tanti nuovi arrivi da fuori di persone che volevano lavorare e dare una mano. La sua storia era tutta da scrivere, così come il futuro. Poi nell’80 arriva il terremoto e questa storia cambia perché erano pronti dei lotti di case da assegnare. Questi lotti furono poi occupati. È successo, poi, che, con la camorra, Scampia è diventato un grande supermercato della droga, sono arrivate le faide e ogni giorno c’era un morto. Tutto ciò ha contribuito a creare un’immagine di Scampia nel mondo. Nel frattempo, l’altra parte del quartiere non ha mai smesso per un minuto di esercitare il proprio ruolo per la conquista della normalità. Nel tempo hanno prevalso i messaggi positivi delle associazioni e il lavoro delle istituzioni e delle forze dell’ordine che hanno dato sonore bastonate alla camorra. Quello che era un grande mercato nazionale della droga è diventato una piccola bottega. Il fenomeno dello spaccio è ridimensionato e adesso i protagonisti veri di Scampia sono le associazioni, le istituzioni, l’Università, la metropolitana. Ora è il momento di sostituire l’economia nera dello spaccio con un’economia reale, portando sempre più lavoro e opportunità per far rimanere i giovani di Scampia qui, nel loro quartiere. Segnali in tal senso non ce ne sono ancora. Noi facciamo attività coi ragazzi fino ai 17 anni ma poi questi devono scegliere che strada intraprendere”.
Vi è mai capitato di non riuscire a recuperare qualche ragazzo, che poi si è perso in uno di quei tunnel negativi?
A. “Premetto che nessuno salva nessuno. Ognuno si salva da solo. Tu, al massimo, puoi dargli delle opportunità, come cerchiamo di fare noi. Io però ricordo una storia triste di un ragazzo che giocava a calcio con noi, serio, bravo, in gamba che abbiamo perso di vista per poi scoprire che era morto a seguito di una rapina: il rapinato gli aveva sparato. La considerazione è: perché finché stava in un contesto come il nostro andava tutto bene e poi crescendo, con un figlio, non ha trovato lavoro ed è stato costretto a fare ciò che ha fatto? Questa è una sconfitta della società perché non ha dato a questo ragazzo la possibilità di fare altro”.
Come si reagisce quando si scopre che una parte attiva del vostro centro viene a mancare per motivi come questi?
A. “Stai male. È come se quello che hai fatto fosse stato vano. Poi c’è un altro pensiero: in 38 anni abbiamo inciso in positivo sulla formazione di tanti ragazzi. Quindi, nonostante tutto, ti guardi indietro e pensi che ne valga la pena. Sicuramente ne è valsa la pena”.
Fanpage ha parlato di un furto avvenuto a gennaio nell’Arci Scampia con 350 divise rubate. Si è trattato di un segnale di avvertimento? Sentite di dar fastidio a qualcuno?
A. “Siamo sicuri che questo furto non sia stato ad opera del quartiere”.
C. “Hanno preso anche delle pentole oltre agli indumenti. Abbiamo pensato che fosse qualche povero disgraziato che ha voluto risolvere qualche suo problema creandone uno a noi. È stato un gesto naturalmente negativo ma poi abbiamo visto la generosità di tutte le associazioni che ci hanno ricomprato tutto ciò che ci era stato sottratto: pentole, attrezzature per i ragazzi. C’è stato un nostro vecchio iscritto, Luca Pandolfi – ora è a Cittadella in Serie B e lo scorso anno in C alla Juve Stabia – che ci ha comprato cento completini. Lui è lontano perché gioca a Padova e non è potuto venire qui di persona però mi ha detto: Mister, voi avete fatto tanto per me e io ora voglio fare qualcosa per voi”.

La prima cosa a cui ho pensato da fuori, leggendo una notizia come questa è che può esserci qualche “signorotto” di quartiere che non vede di buon occhio l’Arci Scampia e dà qualche segnale negativo.
A. “Da noi sono tutti ben accetti. Dei nuovi non controlliamo né il passato né l’appartenenza né la fedina penale. Sono tutti ben accetti”.
C. “Quando succede qualcosa al centro ci telefonano: mister, c’è qualcuno in mezzo al campo. E magari è solo un bambino che ha scavalcato per recuperare un pallone perso. Noi non abbiamo mai ricevuto minacce o segnali da nessuno anzi, abbiamo ricevuto proposte di aiuto e di associazione da capi di zona che avevano i figli che giocavano con noi, del tipo: mister, per qualsiasi cosa siamo a disposizione. Antonio ha sempre rifiutato qualsiasi proposta, anche di aiuto iniziale”.
A. “Noi teniamo i campi separati e vogliamo sottrarre manovalanza alla malavita. Mai nessuno è venuto a dirci qualcosa anche perché, in 38 anni, abbiamo avuto modo di conoscere al meglio il quartiere e il quartiere conosce noi”.
L’Arci Scampi ha anche una squadra femminile e ci sono anche venti mamme che, nel frattempo, fanno allenamento.
C. “Ci sono 39 ragazze, a partire dalle bambine nate nel 2017. Le ragazze che si vengono ad allenare sono accompagnate dalle mamme e ci hanno chiesto la possibilità di far allenare anche loro”.
A. “Da più di trent’anni, il 9 o il 10 marzo organizziamo la festa della donna, sottoforma di torneo di calcio in cui si sfidano le mamme che vogliono giocare. Quest’anno si sono talmente divertite che hanno deciso di non limitare il tutto solo a quel giorno bensì cominciare con gli allenamenti”.
C. “Invece di andare in palestra vengono da noi”.

Una cosa che odio sono le indicazioni continue ai figli da parte dei genitori che stanno a bordocampo. Come se poi non ci fosse il mister a guidarli. Io penso che il prossimo passo sia il figlio o la figlia a bordocampo che fa quella stessa pressione alle mamme, così i grandi imparerebbero sulla loro pelle.
C. “È successa una cosa simile. Non si è arrivati proprio a questo ma i ragazzi si sono divertiti a guardare le mamme giocare”
Tutto fa parte di quell’insieme di segnali educativi, anche la mamma in campo e il figlio fuori, oppure tutti in campo.
A. “I tempi e la società sono cambiati e noi dobbiamo stare al passo con i tempi. In 38 anni è cambiato il mondo”.
C. “Prima a calcio giocavano solo i più bravi. Oggi il calcio è di tutti ma per ciascun genitore, suo figlio è il più bravo e perciò deve giocare, con quella determinata squadra e in quel ruolo. Poi arriva il commento al mister: tu hai messo quel giocatore e perciò hai perso”.
I genitori sanno però che ad Arci Scampia le cose funzionano in un certo modo. Voi avete tanti cartelli con i giusti comportamenti da seguire, per grandi e piccoli.
C. “Abbiamo affisso i diritti dei bambini. Il mister deve osservarli e dare queste risposte ai ragazzi”.
A. “Tutti i bambini sono convinti di diventare campioni nel calcio e magari quasi tutti i genitori sono convinti di riscattare la propria carriera attraverso quella del figlio. Poi un po’ alla volta bisogna che capiscano che non è così e che c’è una differenza enorme tra quelli che praticano e quelli che diventano professionisti. È complicato diventare campioni nello sport”.
C. “Noi ai ragazzi non raccontiamo fesserie. Sfondare nel mondo del calcio, ad alti livelli, è difficilissimo. Invece ci sono molti adulti che fanno passare i messaggi opposti. Un genitore intelligente deve far stare il figlio con i piedi per terra e poi, se sono rose fioriranno”.

Secondo me c’è bisogno che centri sportivi e settori giovanili diventino anche scuola e veicolino regole di cittadinanza attiva. Non a caso, nel 2016 l’Arci Scampia è premiata dalla UEFA come terza scuola calcio in Europa per meriti sportivi e anche sociali. Voi lavorate anche in sinergia con il Napoli?
C. “Sempre”.
A. “Noi i nostri ragazzi li diamo al Napoli e li diamo in tenera età. Quest’anno il Napoli ha avuto tre ragazzi del suo settore giovanile in Serie A, cioè Gaetano, Zanoli e Zerbin. Quando un ragazzo lascia il centro sportivo per andare in un settore professionistico non è detto che sia diventato calciatore. Un conto è se tu sradichi un ragazzo dal suo habitat naturale (famiglia) per mandarlo all’estero o in un contesto totalmente diverso da quello d’origine, un conto è lasciare che stia al Napoli, nella sua città, nella sua famiglia, scuola e in più, sempre con un club professionistico. Noi non gli staremmo stravolgendo la vita. Noi abbiamo nel Napoli un 2005, un 2007, un 2008, tre classe 2010, un 2012 e una bambina del 2012. La settimana scorsa sono venuti osservatori del Napoli e con loro ci riaggiorneremo a settembre. Nel passato ne abbiamo dati tantissimi al Napoli, come Armando Izzo che oggi gioca in Serie A nel Monza. All’epoca partì dall’Arci Scampia e poi dalle giovanili del Napoli a cui lo abbiamo ceduto. Lo stesso Luca Pandolfi è stato dieci anni con noi. Quella di Izzo però è una storia da raccontare”.

Izzo ha scelto quella strada positiva di cui avete fatto cenno sopra.
A. “Lui deve dire grazie a tante persone. Perdere il padre a dieci anni da figlio maggiore è difficilissimo da elaborare. Suo padre aveva trent’anni quando è morto e io non ho mai visto un genitore avere la certezza che il figlio avrebbe giocato in Serie A. Purtroppo non è riuscito a vedere il figlio quando lo abbiamo dato al Napoli perché era già morto di leucemia fulminante”.
Tema Azzurro: Spalletti e Conte sono due allenatori dallo stile Arci-Scampia per i valori che trasmettono nello spogliatoio?
A. “Loro agiscono non tanto sulla formazione dei calciatori ma sugli aspetti psicologico e motivazionale che nel calcio sono la cosa più importante e se tu dai ai campioni un obiettivo comune, cementando il gruppo, allora sei bravo. Spalletti a Napoli è riuscito in questo e bisogna dargliene atto. Poi ha fatto la scelta di andare via da vincitore che è la cosa più semplice da fare ma non voglio contestare. Questi allenatori sono vincenti perché hanno il valore del lavoro, della fatica. Il messaggio è: se tu vuoi raggiungere un obiettivo devi lavorare sodo”.
Però questo è un valore trasversale che non riguarda solo il calcio.
C. “Se trovi un ostacolo davanti a te devi cercare un modo per superarlo. L’Arci Scampia è nata così. Mica potevamo pensare sin dal primo istante di arrivare dove siamo ora?”.
A. “Spalletti ha fatto scrivere dietro le casacche Sarò con te ma tu non devi mollare e noi dobbiamo dare un occhio anche alla formazione e al rispetto delle regole, che nel Napoli di quest’anno non c’è stato molto. Tutto quello che vivi fuori dal campo poi te lo porti in campo”.
Con Conte vedremo, inevitabilmente, come si cercherà di raddrizzare questa barra. Quindi che pronostico date su questo nuovo Napoli che sta nascendo?
A. “Ci voleva una sterzata e il presidente, da uomo intelligente qual è, l’ha data, dopo essere diventato il parafulmine di tutti i guai. Ha spostato l’attenzione sul mister e non solo su di lui. Ovviamente ci vorrà del tempo ma Conte è uno che porta la teoria del lavoro, l’entusiasmo e la voglia di lavorare. Lui stesso, nonostante il suo passato di grandi risultati, deve riscattare gli ultimi anni. A Londra non ha fatto bene e ora ha accettato una squadra che non fa le coppe per dare una svolta anche alla sua carriera. Napoli deve tornare nel posto dove merita, cioè le coppe”.
La città è la città ma poi lo stesso Napoli è sempre stato un modello di sostenibilità economica e, soprattutto, di bel calcio, tolta la parentesi dell’ultima stagione.
A. “Lo è stato a partire da Sarri che è stato uno spettacolo puro. Spalletti ha dato poi solidità e quindi è venuto anche il risultato. La cosa di cui meravigliarsi è che questa squadra si sia sciolta dopo aver vinto lo scudetto e aver raggiunto i quarti di Champions”.
E allora, non ci resta che avere fiducia nell’Azzurro Italia (mal riposta perché nel pomeriggio di quello stesso sabato, 29/06/2024, sarebbe arrivata la sconfitta contro la Svizzera e la parola fine ad un Europeo indecoroso) e nell’Azzurro Napoli…
C. “…E nell’Arci Scampia!”.
Fonte foto in evidenza: pagina ufficiale Instagram Antonio Arci Piccolo