Premessa doverosa. Chi scrive, domenica scorsa, era presente al Maradona per assistere a Napoli-Atalanta e per raccontarla. Quale racconto ne è venuto fuori? Beh, uno certamente spiacevole per il popolo azzurro, accorso in massa allo stadio per supportare la squadra, cosa poi accaduta, dal primo fino al novantesimo minuto. Napoli-Atalanta poteva rappresentare la vidimazione sulla candidatura dei partenopei al quarto scudetto e, invece, ha rappresentato un brusco stop, inflitto da una squadra “più forte” a detta di Conte. Superiore al Napoli, almeno nei 90’ minuti al Maradona, l’Atalanta lo è stato in tutto: in difesa – dove Hien ha annullato Lukaku –, a centrocampo – dove Ederson ha giganteggiato e McTominay ha portato la croce pressoché da solo – e in attacco, con Lookman e De Kaetelaere in versione notti europee della scorsa stagione, ad esibirsi su un palcoscenico che, in fondo, del bello non è mai sazio.
Per il Napoli, quello di domenica non è stato un bagno di umiltà ma un passaggio normale per chi è sulla buonissima strada per ritornare alla grandezza. Voli pindarici e propositi di gloria immediata non sono mai stati fatti anzi, la risalita degli azzurri dai bassifondi dello scorso anno, non solo è ripartita ma lo ha fatto rapidamente grazie al lavoro e ad un atteggiamento consapevole, delle proprie forze e di quelle degli avversari, Atalanta compresa. Il Napoli è tornato credibile e, in fondo, era quello che si chiedeva, prim’ancora che di vedere il panzer schiacciasassi in stile 2022/2023, e non è nemmeno detto che quei fasti siano lontanissimi.
Sì, perché, nel frattempo, il Napoli si è messo profondamente in discussione, a partire dal modus operandi del presidente.
Il De Laurentiis loquace dello scorso anno, che sbottava, rivendicava, che esonerava, sconfessava e, talvolta, si scusava ha lasciato spazio – per la seconda volta in tre anni – alla figura del savio silenzioso che tiene la giusta distanza dai fatti, governandoli con equilibrio.
Il DS è cambiato: spazio al vigore della gioventù e alla competenza di Giovanni Manna, dopo l’interregno Meluso, che più che un regno è stato un feudo con il “vassallo” sbagliato.
La bontà di questo progetto tecnico sta tutta nei volti nuovi di Castelvolturno a partire da Antonio Conte, per poi compiersi con i tasselli – e che tasselli – provenienti dal mercato, per un totale di 149 milioni di euro spesi e un saldo in rosso di 113 milioni (fonte: Calcioefinanza). L’All-in non è né azzardato, né da suicidio sportivo in stile PSG 2021/2022. Questa squadra non è un semplice instant-team ma un gruppo che crescerà, plasmato a immagine del suo allenatore e che potrà competere per rimanere nei luoghi di classifica in cui si è imposto già da adesso.
Se, in quanto a sostenibilità finanziaria e qualità della proposta, il Napoli 2022/2023 continua e continuerà a farsi preferire, la compagine di quest’anno si sta distinguendo per l’umiltà e la capacità di voltar pagine in fretta e furia, rispetto al torbido sceneggiato “Machiavelli” dello scorso anno.
Per chi non lo sapesse, “Machiavelli” è il nome di una fantomatica e immaginaria serie televisiva che diventa un vero e proprio caso all’interno della Serie Tv (stavolta vera) “Boris 3”, con Francesco Pannofino nei panni del regista René Ferretti. Machiavelli si presenta come un progetto di grande respiro che la produzione propone al regista René con l’intento di “farlo fuori”, professionalmente parlando. “Machiavelli” è la patata bollente che i demiurghi della produzione rifilano al dead man walking che accetta con entusiasmo, mette anima e corpo, per poi ricevere la mazzata improvvisa del tipo: non andrà in onda nulla, scordati soldi e fama! È qualcosa che non nobilita la carriera anzi, la stronca, come dimostra anche il caso di un omologo del regista Ferretti, poi suicidatosi perché vittima di “Machiavelli”, prima che toccasse a René.
Il Napoli dello scorso anno è stato tutto questo. La “serie che non c’è”. E come fai a guidare le riprese di uno sceneggiato che non esiste? Chi è che ti ascolta? Nessuno. E se ci fosse qualcuno ad ascoltarti, darebbe forza a ciò che dici? E chi accorre a tutelare il regista? Nessuno. E se qualcuno accorresse, con quali intenzioni lo farebbe? Benevole oppure butterebbe benzina sul fuoco? Ecco: Garcia e Meluso prima, Mazzarri e Calzona poi, sono stati i René Ferretti che, com’era preventivabile, non ce l’hanno fatta.
Dopo un anno, il parassita Machiavelli sembra aver lasciato Napoli per ingrossare le sue viscere altrove e, più nello specifico sulla sponda giallorossa del Tevere. La Roma, infatti, sembra soffrire di tutti quei problemi di cui sopra e che hanno martoriato il Napoli dall’interno degli spogliatoi e sin dentro gli uffici. L’assenza di una comunicazione forte da parte degli addetti in giacca e cravatta, unita a scelte scellerate, come l’esonero di De Rossi, sortisce effetti sul campo di gioco che definire dannosi è un vero e proprio eufemismo.
“In amor io diffido i romani” è una frase palindroma, ovverosia al contrario si legge uguale. Sarebbe più corretto dire, però, “In amor io diffido i proprietari della Roma”, anche se non è un palindromo.
L’affaire De Rossi di fine estate è stato un fulmine a ciel sereno per tutti gli appassionati, specie perché arrivato nemmeno cinque mesi dopo l’investitura del tecnico di Ostia con un mandato forte, di tre anni, sugellato poi da un calciomercato a cinque stelle. Tutti premi meritati sul campo, in sei mesi in cui la Roma ha ricevuto una nuova identità di gioco, dimostratasi subito redditizia, con una semifinale di Europa League e una qualificazione in Champions accarezzata fino all’ultimo. Alla base della separazione, quindi, ci sarebbero i risultati negativi di inizio campionato ‘24/’25, comunque non così disastrosi se si considerano le prestazioni complessive, su tutte lo 0-0 imposto alla Juventus nella sua casa bianconera. Ebbene sì, non c’è nulla nel mondo di più lontano dalla passione romana che una proprietà americana come quella dei Friedkin, così distaccata da un loro asset come l’A.S. Roma da farsi bastare una relazione sgangherata ma sufficientemente persuasiva della CEO Lina Souloukou – con focus i risultati scadenti e presunte liti con i senatori dello spogliatoio mai confermate da nessuno – per decretare l’esonero di Daniele De Rossi, il cui cuore e la cui mente traboccano d’amore per i colori giallorossi e i cui valori umani e professionali, evidentemente, sono sempre stati invisi ai piani alti.
La Machiavelli-Roma, perciò, è stata affidata ad Ivan Juric, ex tecnico di Genoa, Verona e Torino e, pertanto, alla prima esperienza su una grande panchina. Entusiasmo alle stelle, voglia di far bene e persino la dichiarazione d’intenti della proprietà di vincere trofei nel comunicato di presentazione di Juric: il soggetto perfetto per Boris. Oggi, 6 novembre 2024, la Roma non ha smesso di essere sempre di più un colabrodo, sia in dirigenza – dove nel frattempo la Souloukou si è dimessa – che in campo, con Juric a raccogliere 4 vittorie, 2 pareggi e 4 sconfitte con l’apice del disastro di Firenze, con il 5-1 subito a casa della Fiorentina di Palladino. Ah, indovinate un po’ di dov’era Machiavelli!
E allora, profetica fu proprio la sigla di Boris, cantata da Elio e le Storie tese: “userò gli occhi del cuore, per carpire i tuoi segreti, per capire cosa pensi, nei tuoi primi piani intensi, nei tuoi piani americani, così intensi e così italiani, fatti un po’ a c… di cane”. Il contenuto dei puntini di sospensione lo conoscete già.
Fonte foto: pagina ufficiale X A.S. Roma
