La coreografia con le maglie bianche a disegnare un’unica voce che gridasse Aneme e core nella splendida cornice del Maradona, un pomeriggio che ricordi quanto è bello il sole quando bacia Napoli e quella sensazione di déjà-vu. Era il 3 giugno del 2007 quando le stesse maglie bianche che ieri hanno dato spettacolo nel tempio di Diego andavano a comporre la scritta Ti amo, proprio poco prima della promozione del ritorno del Napoli di Reja tra le grandi della massima serie. E così, quando ieri a ridosso dell’inizio della sfida contro la Fiorentina di Palladino, il Napoli è stato chiamato a riscattarsi e a dare continuità al boato seguito al gol di Billing contro l’Inter tutto ha assunto uno specifico sapore. Quasi a ricordare quanto il popolo napoletano sappia recitare sul palcoscenico del calcio il ruolo di dodicesimo uomo in campo, all’occorrenza e non per spingere un’intera società a credere davvero nella lotta scudetto. In un momento delicato, in cui Conte ha dovuto reinventare l’undici in campo, dovendo far fronte alla cessione di Kvara e all’infortunio di Neres, i tifosi azzurri hanno risposto presente, soffiando alle spalle di Conte per far arrivare la macchina Napoli quanto più avanti possibile rispetto agli avversari.
Un nuovo abito. Con la paura della pressione generata dall’Inter, capace di ribaltare il Monza da 0-2 a 3-2, il Napoli ha fatto (e doveva) fare una prestazione di spessore, ritrovando una vittoria che mancava da più di un mese – nello specifico, dallo scorso 25 gennaio quando il Napoli si impose per due a uno sulla Juventus di Motta. Conte sceglie ancora di cucire, di continuare a perfezionare un abito nuovo che s’è dovuto inventare per far fronte agli ostacoli di regolare amministrazione in cui la società è inciampata. L’assenza di Neres ha portato l’allenatore salentino a dimostrare quanto sempre sostenuto nei confronti della propria rosa, e cioè che sapeva di avere alle spalle, in panchina, uomini pronti ad andare in guerra con lui. Così, con l’infortunio di Anguissa, l’intoppo Neres e la consapevolezza di dover inserire nei meccanismi azzurri i più “sconosciuti” Okafor e Billing, non si poteva che cambiare. Passare dall’affidabilità del 4-3-3 ad un ritorno al 3-5-2, che poco toglie alla voglia che il Napoli ha sempre avuto di imporsi sul campo con le proprie idee.
Conte ne approfitta, concede gran parte della propria fiducia a Raspadori, lo affianca a Lukaku a cui è alleggerito gran parte del peso offensivo. Da una parte rende gli azzurri meno prevedibili in fase offensiva, dall’altra sposta l’attenzione non più soltanto sul gigante belga che, a fronte delle ingenerose critiche ricevute, torna al gol e serve l’assist decisivo per la rete che decide l’incontro. Nel giro di meno di un mese, e a ridosso della quartina di gare contro Lazio, Como, Inter e Fiorentina, il Napoli riprende gradualmente certe consapevolezze, ritrovando nel Jack di cuori un valore aggiunto forse lasciato fin troppo a prendere polvere. L’attaccante classe 2000, che si rese protagonista nell’annata dello scudetto di Spalletti segnando un memorabile gol all’Allianz Stadium, va al tiro ben sei volte – di cui quattro soltanto nel primo tempo -, dimostrano di essere una spina nel fianco della difesa viola. E scattata l’ora di gioco mette la ciliegina sulla torta ad un’azione che è espressione del Napoli contiano: due tocchi, capacità di manovrare coi giusti tempi di gioco e tasso tecnico elevatissimo. Lukaku serve un assist perfetto – l’ottavo in campionato – e Raspadori finalizza con estrema freddezza la terza rete nelle ultime quattro di campionato. Insomma, nulla di più bello che si possa vedere nel calcio pomeriggio del Maradona.
E non è tutto. Il Napoli termina il primo tempo con un 1.28 xG, frutto non soltanto di un Raspadori ritrovato, ma anche delle costruzioni offensive azzurre. E chi era rimasto ad un Conte più contropiedista viene smentito nell’immediato. Di Lorenzo e Spinazzola sostengono sempre la manovra d’attacco, a tal punto che le zone rosse d’influenza sono in maggior parte un pizzico oltre il cerchio di centrocampo, e così gli azzurri riempiono l’area di rigore non rinunciando ad attaccare sulle corsie. Due forse le scelte di Conte che permettono di ingabbiare la Fiorentina nella propria metà campo: la posizione di McTominay e l’idea della coppia Lobotka-Gilmour. In fase di costruzione lo scozzese si posiziona sulla linea dei difensori, e questo garantisce due soluzioni offensive diverse: l’ex United ha le qualità per saltare l’uomo e concludere a rete accentrandosi – nasce così il gol del vantaggio, capitalizzato dall’istinto rapace di Lukaku -, oppure servire Spinazzola. E l’ex Roma può sovrapporsi sì (vince lui il duello della fascia sinistra con Dodò), ma anche penetrare all’interno dell’area, spesso offrendosi di ricevere gli appoggi dei compagni – al 38′ partecipa alla girandola di conclusioni verso la porta impegnando De Gea a deviare in angolo. Sulla fascia destra il Napoli colpisce meno, ma Di Lorenzo non rinuncia ad avanzare fino al limite dell’area avversaria, colpendo un legno e sfiorando il raddoppio.
La volata scudetto. Conte lo ha più volte ripetuto in conferenza: il Napoli per ritrovarsi doveva e deve combattere per tutto l’arco dei 90 e passa minuti di gioco. Nella seconda frazione di gioco la Fiorentina sale di più in cattedra, trovando il gol che accorcia le distanze poco dopo la rete di Raspadori, e dimostrando di poter mettere in crisi gli azzurri con qualità e calcio. Il tecnico azzurro, però, riesce a leggere bene la gara: inserisce Billing per dare altezza e fisicità, manda dentro Simeone e rafforza il reparto difensivo con Juan Jesus, aggiungendo un altro centrale che sappia interpretare al meglio l’arrembaggio viola del finale. Ed è Simeone ad avere la chance di chiuderla, sfruttando poco un contropiede in campo aperto e facendosi neutralizzare da De Gea. Ma tant’è, e gli ultimi scampoli di gara rappresentano quella sana sofferenza necessaria a vincere partite che possono mettere benzina nel serbatoio e fame, fame ancora, fame sempre.
Il Napoli risponde all’Inter, tornando a meno uno e arrotondano la cifra punti a 60. L’Atalanta distrugge la Juventus all’Allianz Stadium, cambiando data ad un record in negativo che mancava dal 1967 – uno 0-4 casalingo, in quel caso nel derby della Mole. La volata scudetto è tutt’altro che decisa, ma diventa giornata dopo giornata sempre più serrata. Sulla carta gli impegni europei e di Coppa Italia possono girare a favore dei partenopei che dovranno sudarsi ogni partita, mentre le nerazzurre hanno dimostrato di non morire mai, confermandosi realtà italiane dalla qualità altissima. Con un grazie sentito alle tre squadre che stanno rendendo la stagione di A avvincente è imprevedibile, ogni giornata verso la fine sarà di pura adrenalina. A partire, senza neanche aspettar tanto, dalla prossima giornata. Il Napoli farà tappa a Venezia, dovendo fare i conti col coltello tra i denti di chi necessità urgentemente di punti salvezza – e di chi, proprio qualche giornata fa ha strappato un punto d’oro alla Dea -, ma l’attenzione sarà tutta al Gewiss Stadium di Bergamo. L’Atalanta del Gasp, che nelle ultime partite ha messo a segno nove reti senza subirne alcuna, affronta l’Inter di Simone Inzaghi che, pur accarezzando con mano le difficoltà, trova sempre forza, qualità e fame per restare in testa alla classifica.
FOTO: SSC NAPOLI
Il giorno dopo Napoli-Fiorentina. “Anema e Conte” in bella mostra come un déjà-vu, il tecnico azzurro “sarto” nel dipinto del Maradona
