Quattordici anni fa, il Napoli esordiva in Champions League, nel suo nuovo formato, e lo faceva proprio al City of Manchester o Etihad Stadium. Era il 14 settembre del 2011e gli azzurri di Walter Mazzarri imbrigliarono sull1-1 i futuri campioni d’Inghilterra del City. Oggi, al comando c’è un allenatore nuovo, Antonio Conte che, all’epoca di cui sopra, era semisconosciuto e grazie al quale gli azzurri sono, oltre alla prima forza della Serie A, la squadra più credibile tra le italiane che si apprestano a scendere in campo internazionale.
Così lontane, Napoli e Manchester: l’una splende tutto il giorno, l’altra quasi annerisce di fuliggine e pioggia. Le separano 2 ore e mezza di volo, circa 2.200 chilometri. Due mondi così lontani, creati per non incontrarsi mai ma che il calcio ha unito con almeno tre direttrici: l’estetica, il mercato, la redenzione.
La banda di eroi “brutti, sporchi e cattivi” del primo City-Napoli – che avrebbe portato a casa una Coppa Italia nel maggio 2012 – avrebbe poi lasciato il testimone ad una squadra unica, fatta di giovani interpreti, capaci di giocare un calcio magnifico. Il Napoli di Maurizio Sarri, nel triennio ’16, ’17, ’18 rappresenta quanto di più vicino, calcisticamente parlando, alla filosofia guardioliana che negli stessi anni viene trapiantata con successo nella piovosa Manchester sponda Citizen. “È impossibile giocare novanta minuti dominando questa squadra. Mai mi sono trovato a giocare con una squadra come il Napoli, da giocatore e da allenatore. Non puoi battere questa squadra se non giochi al massimo perché hanno 14-15 giocatori che, se non sono infortunati, fanno quello che vogliono”. Così Pep Guardiola nella conferenza stampa post gara di Manchester City-Napoli del 17 ottobre del 2017, gara terminata 2-1 per i padroni di casa. Il tecnico pluricampione con Barcellona, Bayern Monaco e con lo stesso City riconobbe per primo il nuovo status raggiunto dal Napoli. Uno status che, grazie al gioco espresso in campo, si era avvicinato – e di molto – a quello delle superpotenze europee, arrivandovi persino a rivaleggiare. Come per Pep, anche per Sarri il pallone rappresenta uno strumento con cui attuare non solo la fase offensiva ma anche quella difensiva: sembrerà banale, ma avere la palla e farla circolare è il primo modo per non subire gol. Inoltre, per entrambi la chiave per la vittoria è rappresentata dall’intensità collettiva, sia nel pressing sia nella ricerca costante della superiorità numerica. Il calcio posizionale sarriano, così come quello di Guardiola, poggia su un fondamentale: il pallone corre più veloce dell’uomo, pertanto ogni zona di campo dev’essere presidiata.
Questa filosofia di campo ha unito per due anni Napoli e quella che di fatto è la capitale del calcio in Inghilterra. La stessa cosa non si può certo dire da un punto di vista degli affari. Azzurri e Citizen non si sono mai arricchiti gli uni con il denaro degli altri e, fino all’estate del 2025, l’unica volta in cui si sono seduti attorno ad un tavolo delle trattative è stata nel 2008, per definire il passaggio in nelle giovanili del Manchester di un calciatore sedicenne, nativo di Santa Maria Capua Vetere, ovverosia Marcello Trotta, poi meteora delle Serie A di fine anni Dieci con le maglie di Crotone, Sassuolo e Frosinone.
D’improvviso, però, lo slancio vitale, quella ventata di inimmaginabile che si materializza nel regalo perfetto per la vittoria del quarto scudetto. Dall’Etihad Stadium fanno sapere che l’idolo Kevin De Bruyne è libero di accordarsi con chiunque. Ne approfitta perciò la SSC Napoli, in grado di offrire al calciatore la vetrina Champions, la possibilità di essere allenato da un grande conoscitore di calcio come Antonio Conte e, dulcis in fundo, Napoli.
“Fattell cu chi è megli ‘e te e fanc’ e spese” ovvero “circòndati di persone che possano accrescere il tuo bagaglio in fatto di conoscenze, abilità e valori, e sii anche disposto a pagare per esperienze del genere”. Vale per Conte ma anche per KDB, nuovo profeta di quel calcio futuristico di Guardiola, nonché uno dei migliori passatori di quest’epoca di calcio. Solo per il il Manchester City, il calciatore belga ha contribuito a 278 gol complessivi (108 gol + 170 assist) in tutte le competizioni. Nelle prime tre giornate di campionato, al netto di un rodaggio fisico e tattico ancora in corso, KDB ha già messo la sua firma in due delle tre vittorie azzurre oltre che illuminato tante fasi di gioco con le sue traiettorie di passaggio.
Ora, però, Kevin è pronto a tornare a casa, nella sua Manchester e nel suo Etihad, tra la sua gente, con un’altra maglia sky blue. Celeste Nostalgia. Celeste Magia.
Orfano di De Bruyne, il Manchester City è ripartito da Pep Guardiola – alla sua decima stagione inglese – con un morale diverso da quello cupo dello scorso anno, alcuni interpreti nuovi, come Rejinders e Donnarumma tra i pali e le certezze come Haaland, il rientrante Rodri e Bernardo Silva. Le due sconfitte alla seconda e alla terza giornata di Premier, contro Tottenham e Brighton sono state quasi completamente dimenticate dalla netta vittoria nel derby contro il Manchester United … o, per meglio dire, contro quello che rimane del Manchester United.

Molti tifosi partenopei in trasferta in Inghilterra avranno ben pensato di andare in pellegrinaggio nei luoghi che hanno accudito il loro nuovo idolo Kevin e il loro nuovo vecchio beniamino Scott McTominay che, l’anno scorso, come Atlante, si è preso il Napoli sulle spalle e lo ha portato alla conquista del quarto tricolore. Ebbene, “Campania Nel Pallone per il sociale” consiglia a quegli stessi tifosi azzurri di non avvicinarsi troppo ai centri sportivi del Manchester United perché potrebbero non tornare nelle stesse condizioni in cui vi sono entrati o peggio, non tornare mai più.
Il Manchester United, ovvero il club con la comunità di tifosi più ampia al mondo insieme a Real Madrid e Barcellona, la squadra più titolata di Inghilterra con 67 trofei di cui 20 campionati e 3 Coppe dei Campioni. Ripetiamo: il Manchester United… è un mix tra un cimitero, l’area 51 e il Triangolo delle Bermuda, un luogo dove approdano campioni in erba o già affermati – pagati cifre esorbitanti – che poi spariscono nell’anonimato di stagioni invereconde, come ad esempio l’ultima, che ha visto i ragazzi di Ruben Amorim – da quelle parti diventato anche lui un poeta maledetto dopo i fasti di Lisbona – arrivare quindicesimi in Premier League. Vedi Old Trafford e poi muori e la lista di calciatori distrutti dall’esperienza dello United è folta. Basterebbe citare Onana, il difensore Maguire, Antony, Sancho, Casemiro ma anche i più recenti Zirkzee e De Ligt, vecchie conoscenze della Serie A. Calcio italiano, appunto, a cui ognuno di questi, magari, sta bramando in questo preciso istante, pur di abbandonare questa prigione dorata. Anche perché, in queste ore, a Manchester stanno soggiornando due reduci di quel “Vietnam del pallone” da cui è difficile uscire con ancora intatta la credibilità da calciatori.
Scott McTominay e Rasmus Højlund sono due “John Rambo che ce l’hanno fatta e già immaginiamo la fila di tesserati Red Devils che, fuori dalla loro stanza d’albergo, fanno a gara per toccare con mano la testimonianza che sì, c’è vita dopo la morte e magari quella redenzione calcistica la si può ritrovare su un campo da calcio napoletano, chiamato Maradona, come ha fatto Scott e come farà certamente Rasmus, reduci da un incubo ma finalmente felici in maglia azzurra. Vedi Napoli e poi vivi!
Fonte foto in evidenza: pagina ufficiale X Manchester City
Fonte foto interna: profilo ufficiale Instagram Rasmus Højlund
