Il Napoli che si sopravvive: la rivincita di Insigne, il sicurezza di Meret e il sacrificio di Lozano

Lozano che stringe i denti, Petagna che scala a destra e Meret che affida il rinvio a Maksimovic. E’ un Napoli che si sopravvive, negli infortuni e nel gioco. E forse, paradossalmente, quello che più ‘riflette’ il suo allenatore Gennaro Gattuso. Ché il calabrese già da calciatore era uno di quelli che giocava al calcio prima con il cuore e poi con la mente. Oggi, però, il tecnico ex Milan aveva il sentore che la gara contro la Juventus potesse costituire l’ultima spiaggia della sua carriera sulla panchina azzurra. E allora ce l’ha messa tutta e il Napoli, privo di Manolas, Koulibaly, Ospina – il colombiano si è infortunato 15′ prima dell’inizio del match – Mertens, Lozano (nel finale), sapeva di dover gettare il cuore oltre l’ostacolo, riemergere da quell’oblio che mai è appartenuto a una città e a un tifo pieni di vitalità, calore e anima.

Non c’è dubbio sul fatto che questo sia un Napoli dalla doppia faccia. Alla faccia del sentimento, dell’anima, del sacrificio, tutte caratteristiche racchiuse nell’abbraccio finale col quale Gattuso ha voluto ringraziare ogni calciatore, si contrappone la faccia di una squadra che ‘ammazza’ il gioco, spesso costretta a lanciar lungo lanciando segnali di un assetto tattico confuso e privo di idee. D’altronde, per i reduci del sarrismo e del bel gioco, vedere un Napoli che spazza palloni in aria alla ricerca di una ipotetica sponda della punta è puro autolesionismo. Ma prima delle idee – Gattuso lo ha dimostrato ancora una volta, come faceva da calciatore – c’è il senso d’appartenenza alla maglia, la professionalità e il sacrificio di chi vuole a tutti i costi la vittoria. Un aspetto, questo, che forse è mancato in altre occasioni e che il Napoli sembra voler dimostrare nel periodo più buio di stagione, dopo l’eliminazione in Coppa (che segue una finale persa in Supercoppa proprio contro la Juventus).

E la ribalta sentimentale azzurra parte dal suo capitano, spesso criticato (quando si parla di critiche fatte con onestà intellettuale) perché colui che più porta alto il vessillo della napoletanità in Italia e nel mondo. Il calcio di rigore, col quale il talento di Frattamaggiore fa 100 in carriera con il Napoli, è la rivincita personale ingaggiata con Szczesny, che gli ha negato la gioia del pareggio in una gara fondamentale di stagione come quella del Mapei. E se quando si parla del 24 si pensa a una rivincita, quando si parla di Alex Meret si pensa alla parola ‘sicurezza’. Perché sia chiaro: che Alex giochi o meno parliamo certamente di uno dei migliori portieri che il calcio italiano abbia partorito. L’unica pecca sua – in un’attenta analisi risulta essere l’unica motivazione – è il non essere così abile con i piedi, caratteristica che non dovrebbe mancare ad un portiere moderno.

Tra i pali, però, l’ex Spal dice no prima a Chiesa, poi a Ronaldo e, infine, anche a Morata, nella clamorosa occasione a due passi dalla porta. Una dimostrazione a Gattuso, nella professionalità da applausi di chi non si lamenta mai, nella volontà di rivendicare un po’ più spazio, nel sano ballottaggio con Ospina. Quando, poi, Lozano fa segno con le mani che non può più andar avanti, l’invito di Gattuso a continuare, il messicano lo raccoglie al volo. Perché sa che è una partita delicata, perché sa che questo Napoli ha bisogno di lui (anche con una gamba sola). Petagna, allora, va a giocare esterno. Tutto, tutto, tutto, pur di portare a casa tre punti che salvano la faccia a Gattuso e al Napoli.

L’urlo di chi dice che ‘o ciucc’ è ferit’, ma nun è muort’ risuona con una grande eco nel Diego Armando Maradona, laddove Rrahmani e Maksimovic per un attimo non fanno rimpiangere né Koulibaly né Manolas, fieri di dimostrarsi muri invalicabili di un Napoli diventato piuttosto fragile nelle ultime gare. L’ex Verona ha vinto il duello con Ronaldo concedendogli poco e niente, mentre il compagno di reparto ha riscattato la brutta prestazione di Genova. E’ la Napoli dell’odio e amore, un giorno sei santificato, l’altro sei condannato all’inferno. L’importante, però, è metterci sempre la faccia. “Il gruppo mi segue. Se non m’avesse seguito, avrei preso la mia roba e sarei andato via”, parole forti di un allenatore che continua a fare il proprio lavoro con enorme rispetto e professionalità, mettendoci sempre la faccia.

Che questo Napoli non sia bello da vedere (ed è un problema) è sotto gli occhi di tutti. Ma forse stasera Gattuso ha veramente visto una squadra che annusasse il pericolo, come spesso ha chiesto in stagione. E forse ha anche visto quel veleno di un ciuccio che colpisce la vecchia signora al momento giusto, per poi, a testa bassa, difendere con i denti un risultato preziosissimo. Un 1 a 0 che dà morale, spiraglio di luce di una città che ha avuto nel calcio lo strumento per riemergere e per contrastare il nord. Napoli-Juventus non è mai una partita come le altre, e forse non c’era migliore occasione per trascinarsi sulle spalle tutti i napoletani. Il primo passo, certamente, per uscire presto da un ‘tunnel’ un po’ troppo buio, per una città che ha sempre vissuto di colori del mare e di luce del sole.