Pillole di Calcio – Non paragonatele all’Italia! Storie, curiosità e punti di svolta di nazionali che, comunque, il Mondiale lo hanno giocato

In Qatar vanno di corsa. In soli sette giorni si è passati dall’essere in bilico per la qualificazione alla fase ad eliminazione diretta, al dover già delineare il tabellone dei quarti di finale. Nel mezzo, tante emozioni, tanti colpi di scena che hanno portato ai verdetti ufficiali. Fa rumore, ad esempio, l’eliminazione della Germania per mano del sorprendente Giappone, forse la sorpresa più bella di questa spedizione mondiale, per i valori tecnici opposti alle avversarie del suo gruppo e, soprattutto, per gli immensi valori etici dimostrati in ogni occasione anche fuori dal rettangolo verde. Non era poi così scontato, invece, il crollo del Belgio, venuto meno, a differenza proprio del Giappone, nell’unità della squadra, ormai a fine ciclo. Abbiamo scelto tre pillole, in questa settimana di calcio, ciascuna a ruotare intorno ad un tema, guardarsi dentro e ripartire. C’è chi lo ha fatto bene in passato e ne raccoglie i frutti e poi c’è chi, in un modo o nell’altro, dovrà ripartire.

Il Giappone ha salutato il Mondiale, dopo essere stato eliminato dalla Croazia agli ottavi di finale, ma solo ai calci di rigori e dopo una partita come al solito combattuta. I nipponici del sempreverde Yuto Nagatomo, in un girone con Spagna, Germania e Costa Rica, si fanno bastare 35 minuti su 180 complessivi, vincendo le due partite più difficili contro i primi due colossi e prendendosi uno storico primato nel suo girone. L’harakiri contro la Costa Rica, in una partita dominata, fa percepire come all’interno di un impianto, come quello nipponico, in cui tutti fanno le cose insieme, questo stesso insieme rende al massimo ogni qual volta il gioco si faccia più duro. Sembra il classico cartone animato orientale in cui il nemico, dopo un dominio iniziale su tutta la linea, viene sconfitto e la pazienza e la strategia del protagonista vengono premiate. Il protagonista anzi, l’eroe, del Giappone è, senza dubbio, è il suo CT Hajime Moriyasu che, in nemmeno dieci giorni, ha minato le certezze degli unici due tecnici presenti al Mondiale detentori di un Triplete nel loro curriculum, Hans Flick e Luis Enrique. Il grande merito del movimento di calcio giapponese è, tuttavia, quello di aver affidato buona parte dei suoi calciatori all’Europa. Nel gruppo dei venticinque che sono partiti alla volta del Qatar, ben otto militano in Germania – tra Bundesliga e Seconda divisione – e i gol della qualificazione portano proprio la firma di calciatori “tedeschi” come Asano, Tanaka e Doan. Non solo, perché anche la Premier e la Liga hanno cominciato a bussare alla porta giapponese, con Mitoma e Kubo che sono veri punti di forza di Brighton e Real Sociedad. Un movimento in crescita, dunque, che ha avuto il grande merito di aprirsi agli influssi del calcio europeo, verso la modernità.

Nel Mondiale del 2018, proprio il Giappone, arrivò fino agli ottavi di finale, eliminato dal Belgio che, investito anch’esso dalla furia nipponica, fu in grado, però, di recuperare il doppio svantaggio e di andare avanti. Quello russo, probabilmente, è stato il Mondiale dove il Belgio ha toccato il punto più alto, arrivando al terzo posto, con Eden Hazard MVP del torneo. Dopo quattro anni e mezzo, il grande ciclo belga può considerarsi concluso, lo ha detto il campo ma, prim’ancora i calciatori anzi, il calciatore, Kevin De Bruyne, capitano e uomo più rappresentativo in Belgio e non solo. Il campione del Manchester City è stato uno dei primi a frenare qualsiasi entusiasmo e velleità di vittoria finale già prima dell’esordio. Conseguenza: spogliatoio prima demotivato, poi spaccato. Morale: puoi uscire da qualsiasi competizione ma, con questo atteggiamento, sarebbe stato inutile anche solo parteciparvi. Domanda: sarebbe finito a prescindere dalla qualificazione agli ottavi? È probabile anzi, rincarando la dose, si può quasi dire che la parola fine all’età dell’oro dei Diavoli Rossi del Belgio l’abbia messa l’ex capitano del Napoli Lorenzo Insigne con la pennellata d’artista del luglio 2021. Erano i quarti di finale degli scorsi Europei e l’Italia di Mancini, vincitrice poi della competizione, batteva il Belgio per 2 a 1. Il gol della speranza per la squadra di Roberto Martinez – dimissionario dopo l’eliminazione dei suoi – fu messo a segno da Romelu Lukaku. Il calciatore dell’Inter, nella partita dello scorso giovedì, è stato protagonista in un modo in cui nessuno avrebbe voluto mai esserlo, ovverosia con quattro limpide occasioni per segnare il gol qualificazione gettate alle ortiche. Legittimo il processo a Lukaku – anche in chiave Inter e in chiave Serie A, con il match contro il Napoli all’orizzonte – ma resta, comunque, solo una parte di un movimento di calcio scarico, che ha urgenza di essere rifondato.

Urgenza che non dovrebbe riguardare la Germania, non adesso almeno. C’è stato un tempo in cui il calcio tedesco si è, necessariamente, dovuto guardare dentro, e quel momento è avvenuto nel 2004, dopo il disastroso Europeo portoghese che li ha visti eliminati ai gironi. Da lì in poi è stato un crescendo, grazie a figure come Jurgen Klinsmann, Joachim Löw e, dietro le quinte, Oliver Bierhoff. Anche loro, come i giapponesi, ma quasi vent’anni prima, hanno deciso che il loro calcio dovesse aprirsi al mondo, anche alle strategie comunicative o di lavoro fisico proprie di altri sport. La Nazionale tedesca si è slanciata verso il futuro prima di tutti, almeno in Europa, cambiando radicalmente. Una strategia che ha pagato portando la quarta coppa del mondo nel 2014 e tante competizioni affrontate da protagonista. Di certo non le ultime tre, vale a dire il Mondiale del 2018 – forse la caduta più fragorosa per le prestazioni e perché, dopotutto, la Germania era la nazionale detentrice del trofeo –, lo scorso Europeo e, infine, questo Mondiale. I Tedeschi sono la grande delusione insieme al Belgio ma forse l’unico grande enigma di questo torneo che, è bene ribadire, è un torneo di calcio e il calcio, si sa, ha i suoi lati dannati e crudeli. La squadra di Hansi Flick, infatti, paga a caro prezzo il blackout del finale della partita d’esordio contro il Giappone e, se vogliamo, il centesimo di millimetro che ha tenuto la palla in gioco in occasione del secondo gol di Tanaka in Giappone-Spagna. A certe latitudini, quindici minuti possono compromettere il singolo percorso ma non la bontà di un lavoro ormai maggiorenne, che ha visto nascere centri federali e metodi di lavoro d’assoluta avanguardia e che hanno formato, e ancora oggi formano, talenti purissimi destinati a dominare il calcio dei prossimi anni. Ricordiamo che i prossimi Europei si svolgeranno in Germania e che, quasi certamente vi prenderà parte una Nazionale con: Kimmich, Havertz, Musiala, Adeyemi, Moukoko, Raum, Wirtz e chissà quanti altri nomi nuovi. Ci sono Nazionali peggiori, nella proposta, nel lavoro su larga scala e sui recenti risultati e noi ne sappiamo qualcosa.

Appunto. Noi. A quale di questi movimenti è più vicino l’Italia? Per le similitudini nel percorso verrebbe da pensare agli storici rivali della Germania, come gli Azzurri vincitori del Mondiale (2014) e poi fuori ai gironi nelle due edizioni successive (2018-2022). Si potrebbe, allora, concludere logicamente che gli anni 2026 e 2030 saranno un disastro per loro ma sarebbe ingiusto, nei confronti degli uomini e nei confronti di un progetto federale che gode di quei valori che abbiamo cercato di riassumere sopra. La cultura giapponese in fatto di proposta di calcio da esportare resta troppo lontana e anche troppo poco carica di storia rispetto a quella italiana per poter fare un parallelo. A favore degli asiatici, in questo momento storico, depone il fatto di aver scelto bene i modelli occidentali da seguire per balzare più in alto nel ranking FIFA. Non resta, dunque, che il Belgio, che sembrerebbe in declino stando ai recenti risultati. Il movimento calcistico belga, tuttavia, a fronte di un territorio molto piccolo, non smette di sfornare talenti – ma questo, di base, non sarebbe un problema neanche per l’Italia – e di educarli al calcio dei grandi.
È giusto, in conclusione, guardarsi intorno per cercare un riferimento? Sì. Sarebbe bene, tuttavia, farlo per crescere e migliorare – come fatto da Giappone, Germania e Belgio in momenti diversi della loro storia calcistica – e non per giustificare l’ancora cocente disastro azzurro con la Macedonia, come qualcuno ha fatto alla luce dei deludenti risultati delle Nazionali Big, che comunque il loro mondiale, in qualche modo lo hanno onorato. Noi, al momento, non siamo paragonabili a nessuna di queste nazionali, poiché ci manca il presupposto principale: aver provato a cambiare, non tanto in campo – dove la mano di Mancini ha portato anche un trofeo – ma nei campetti e negli uffici deputati a dirigere.

Fonte foto: pagina ufficiale Twitter FIFA World Cup