«Hei Cris, ma allora ci sei stasera dopo la partita?
Per cosa?
Come “per cosa?”, per il corteo in strada. Sarà meglio che ci organizziamo in anticipo.
Tu pensi a fare il corteo? Dobbiamo prima vincere. Tu sei così sicuro che batteremo la Spagna?
Ma sì! Oh ai gironi abbiam pareggiato 1-1 e la stavamo addirittura vincendo e poi abbiamo battuto la Germania in semifinale. La Germania! Dai, a che ora ci vogliamo vedere? E non dimenticare la bandiera!»
Andò perfettamente così quella domenica mattina de 1° luglio 2012. Due quindicenni al telefono: uno spavaldo, euforico e l’altro con i piedi per terra e forse anche un po’ scocciato del tipo: “ma come ti viene in mente di svegliarmi per programmare una cosa che forse nemmeno faremo?”. Lo scocciatore civetta ero io e quel corteo non si sarebbe mai fatto perché la Spagna non solo vinse la finale di Kiev di Euro 2012 ma non fece nemmeno mai toccare la palla ai calciatori dell’Italia, allora allenata da Cesare Prandelli. Quel giorno feci i conti col sapore amaro della sconfitta, “amaro” perché arrivava a un passo dal trionfo, perché disilludeva, perché in cuor mio la festa era già lì fuori, dovevo solo prendere la bandiera e uscire di casa. Quella bandiera tricolore l’avrei presa nove anni dopo: Europei del 2021, Inghilterra-Italia, a casa degli inglesi. Cris c’era e non solo lui. Le strade erano piene e quella mattina non avevo telefonato a nessuno.
Europei che passione! Ironia o meno, il prossimo 15 giugno, gli azzurri di Luciano Spalletti faranno il loro esordio a Dortmund nella kermesse continentale, dove servirà difendere il titolo conquistato a Wembley due anni e mezzo fa. Proprio lo scorso sabato, 2 dicembre, è andato in scena il sorteggio per definire i gironi e l’urna ha riservato all’Italia un trattamento poco benevolo. Tradotto: Albania, Spagna e Croazia che, in ordine di calendario, saranno le nostre avversarie. Benvenuti lungo le sponde del Mediterraneo, quindi, dove calcio, storia e geografia si intrecciano e danno vita ad un girone evocativo, di sicuro tra i più attesi ed equilibrati del torneo.
A proposito di mare: ne è passata di acqua sotto i ponti da quell’Europeo del 2012, quando il girone degli azzurri era per i tre quarti lo stesso di quello della prossima edizione, con la Spagna allora campione del mondo e la Croazia a contendere il passaggio del turno a Buffon e compagni. Il quarto incomodo era l’Irlanda di Giovanni Trapattoni, che poi avrebbe dato il pass all’Italia per il passaggio alla fase ad eliminazione diretta, grazie ai gol di Cassano e Balotelli. Prima di quell’Irlanda-Italia, i ragazzi di Cesare Prandelli avevano raccolto due punti nelle prime due uscite del girone contro Spagna e Croazia. Due pareggi per 1-1, con l’Italia passata in vantaggio in entrambi i casi. Con gli iberici fu Totò Di Natale a far esultare il Paese, prima che Fabregas la pareggiasse, tenendo comunque viva, negli azzurri, la consapevolezza di essere all’altezza dei campioni del Mondo. Nella sfida contro i balcanici di Luka Modric, invece, fu Mario Mandzukic a pareggiare i conti – dopo la fantastica punizione di Pirlo – presentandosi al calcio europeo prima di vincere tutto con Bayern Monaco, Atletico Madrid e Juventus. L’Italia che arrivò in fondo fu tutta in quell’immagine di Balotelli, ad esultare come l’incredibile Hulk dopo aver piegato la Germania di Neuer e Ozil in semifinale. Forza, cinismo e catenaccio con una spruzzatina di lirica data dal genio che albergava in Pirlo e Cassano. Solo lirica, esclusivamente genialità, invece, in quella Spagna che prima ci aveva illuso nei gironi e poi si era messa a volare come una farfalla e a pungerci come un’ape, quattro volte a zero, in quella maledetta finale di Kiev.
E adesso? Adesso quella Spagna non c’è più o, almeno, c’è un ricambio generazionale massiccio, forse meno travolgente nella sua bellezza ma sempre interessante e temibile. Perché agli Europei, contro l’Italia, la Spagna c’è sempre:
– Euro 2008, gli spagnoli poi campioni d’Europa passano ai rigori nei quarti di finale;
– Euro 2012, vittoria della Roja in finale;
– Euro 2016, l’Italia vince 2-0 agli ottavi grazie ai gol di Chiellini e Pellé;
– Euro 2020 (2021), l’Italia conquista, ai rigori, l’accesso in finale contro i ragazzi di Luis Enrique.
Altrettanto temibili sono i croati, forti di un bronzo ai mondiali in Qatar e di un Modric che vuole congedarsi al meglio dal calcio, dopo averlo nobilitato in ogni aspetto. L’Albania, invece, proprio come quella Irlanda di undici anni fa (a giugno prossimo dodici), porta con sé uno spirito italiano che non è rappresentato da un solo uomo come nel caso del Trap di allora, bensì da molti dei suoi interpreti. Per cominciare c’è il CT Sylvinho che è sì stato allenato da Pep Guardiola al Barcellona ma è stato anche collaboratore di Roberto Mancini nella sua seconda esperienza da tecnico all’Inter. Tra i calciatori, invece, quasi tutti sono italiani di adozione, a cominciare dal portiere Berisha, in forza all’Empoli, proseguendo poi con l’ex Napoli Hysaj, Djimsiti dell’Atalanta, Asllani dell’Inter, Bajrami del Sassuolo.
Attenzione dunque alle “Aquile” rossonere, quarto incomodo del girone. Anzi no! A rigor di logica, questo status da quarto incomodo spetterebbe all’Italia. La banda Spalletti, infatti, si è presentata al suo girone dopo essere stata pescata dall’ultima fascia, nonostante fosse detentrice del trofeo. Perché? Tutto è dipeso dall’andamento nel girone di qualificazione. Un raggruppamento nel quale l’Inghilterra, già nell’esordio contro gli azzurri al Maradona dello scorso 23 marzo, aveva messo le cose in chiaro, vincendo e prendendo il largo sulla diretta concorrente al primo posto. Di contro, l’approccio degli azzurri al girone qualificatorio era sembrato molto brutto, con l’allora CT Mancini che non si era nemmeno nascosto così tanto. A tenere banco, all’epoca dei fatti era il caso Retegui, ovvero di un’Italia incapace di produrre attaccanti in casa e con la necessità di naturalizzare calciatori che mai avevano toccato le “sacre sponde” del Bel Paese, per usare le parole di Ugo Foscolo. Allora toccò all’attuale centravanti del Genoa, che pure segnò nella partita di Fuorigrotta contro gli inglesi e in quella dopo contro Malta, vinta 2-0. Per un attacco che, allora, diede segni di vita, c’era però tutto il resto a non funzionare, a partire dalla connessione tra commissario tecnico e spogliatoio e, prim’ancora, tra CT e vertici federali.
Ed è così che, lo scorso agosto, arrivò Luciano Spalletti da Certaldo, in un ambiente destabilizzato come Coverciano. Il comandante dello scudetto del Napoli ha cominciato a raccogliere cocci che sta ancora finendo di incollare e nel frattempo, tuttavia, ha raggiunto un primo risultato importante come la qualificazione diretta ai prossimi campionati europei di calcio. C’è da stupirsi? No, tuttavia, se dieci anni fa era normale e facile qualificarsi anche ai Mondiali, oggi la realtà ci dice che non è più così scontato. E perché non è più così scontato? Per lo stesso motivo per cui è necessario scomodare le ambasciate argentine o brasiliane per naturalizzare calciatori. Nello stesso momento in cui sto scrivendo, in Uruguay (che ha lo stesso numero di abitanti della Toscana), Francia, Brasile e Portogallo sta nascendo almeno un bambino destinato ad essere un papabile vincitore del pallone d’oro tra vent’anni. E questo in virtù di una cultura del lavoro e dell’educazione che si rinnova e che accompagna il talento con strutture giovanili più adeguate e con percorsi formativi in linea con le esigenze del tempo. O almeno questo è quello che ci dice la realtà. A fronte di un Paese di 70 mln di abitanti come il nostro, invece, ci rendiamo sempre più consapevoli che tutto è dannatamente più farraginoso, più burocratico, meno umano. La speranza è che Spalletti non venga lasciato da solo a predicare nel deserto e che lo si accompagni con gesti più concreti che partano dalla federazione e giungano fino alle scuole e fino ai campetti comunali meno, per accompagnare i bambini e, prim’ancora, i loro giovani allenatori.
