Esclusiva CNP – L’ex difensore del Nola Davide Mansi sul suo addio al club bianconero: “Via per dignità, non per soldi”

Davide Mansi non è più un difensore del Nola. Il classe 1996, che lo scorso 27 luglio era stato colpito da un aneurisma celebrale e che solo due giorni fa aveva riottenuto l’idoneità sportiva, ha deciso di rescindere il suo contratto con il club bianconero. Per capire meglio cosa ha portato a ciò, noi di Campania Nel Pallone abbiamo deciso di intervistare l’ex difensore di Sorrento e Gladiator che, a cuore aperto, ci ha raccontato la sua versione dei fatti:

Sul motivo della rescissione“Ho rescisso il contratto perché non riuscivo più a sopportare l’idea di essere un peso per la società. Dopo un incontro con il presidente e i due direttori, in un momento difficile della mia vita, circa un mese dopo l’operazione, ho realizzato sulla mia pelle quanto stavo vivendo. Mi sono state dette cose che mi hanno portato a prendere questa decisione, nonostante io abbia bisogno di vivere di calcio. Ho scelto di rescindere senza percepire nulla perché mi sono sentito un peso per la società, che, tra l’altro, aveva già intenzione di non darmi nemmeno un euro.”

Sulla mancata vicinanza – “Quando successe la tragedia, Dio mi ha aiutato e sono ancora qui. Sono felice di parlarne. In quel periodo, il Nola ha mostrato vicinanza a Davide tramite i social, ma alla fine la vera vicinanza avrebbe dovuto tradursi in un supporto concreto: rispettare il contratto, cosa che non è avvenuta. Nonostante io fossi disponibile a venire incontro alla società, chi mi conosce lo sa, anche se mi avessero ridotto lo stipendio o dato un piccolo rimborso spese, avrei accettato. Non chiedevo soldi, ma più che altro un aiuto morale, che in quel momento per me era fondamentale, e invece non è stato fatto.”

Sull’incontro con il presidente e i direttori – “Sono andato alla presentazione e sono stato felicissimo dell’accoglienza ricevuta. Tuttavia, dopo due o tre giorni, c’è stato un incontro sgradevole con il presidente e i due direttori, dove mi è stato fatto capire, in maniera implicita, che dovevo svincolarmi. Era un periodo difficile della mia vita, in cui non riuscivo a dare risposte certe. Mi chiedevano quando sarei tornato, se ce l’avrei fatta o no, e io rispondevo che non sapevo cosa sarebbe successo, dovevo seguire solo i consigli dei medici. I medici dicevano che dovevamo aspettare il 27 ottobre, ed era necessario farlo. Loro sapevano che senza l’idoneità sportiva il contratto poteva decadere e volevano rescindere. Due giorni prima di quell’incontro avevano già fatto il bonifico per gli stipendi, ma io non ero stato pagato.”

Sulla proposta lavorativa – “Il presidente, a modo suo, mi ha proposto un lavoro nella sua azienda. Però, sinceramente, non era il momento né il luogo giusto per farlo. In situazioni come quella, ci sono modi e luoghi adeguati per fare certe proposte, non in un parcheggio di uno stadio. La società, eccetto il presidente, non mi ha offerto nulla, nemmeno i direttori. Volevano solo trovare un accordo, ma non è mai stato avanzato nulla da parte loro. Avevo ancora un contratto in corso, ma a livello economico non mi è stato detto nulla. Nonostante io avessi fatto un passo indietro, anche a livello umano, pensando che dopo aver rischiato la vita, mi trovassi in un ambiente familiare e di amicizia, visto che quando è successa la tragedia mi sono stati vicini, ho capito di aver sbagliato ad andare a quell’incontro senza il mio avvocato. Poi è successo che ho deciso che, se fossi stato un peso per la società, avrei fatto un passo indietro, perché per me la dignità viene prima di tutto. Nonostante questo, l’obiettivo della società era non pagarmi e farmi allontanare.”

Sul mancato incentivo – “Successivamente, il mio procuratore li ha contattati per chiedere un incentivo. Abbiamo richiesto una cifra irrisoria, che però è stata rifiutata.”

Sulla vicinanza di mister e compagni di squadra – “In questi momenti, però, sono stati molto vicini i miei compagni di squadra, il mister e lo staff tecnico. So che nelle loro posizioni non potevano fare molto. A me bastava un piccolo gesto, e il mister mi ha sempre telefonato, è sempre stato vicino. Anzi, mi ha sempre considerato un giocatore del Nola e mi avrebbe aspettato, infatti non ha preso nessun difensore perché sperava che io rientrassi. La società, invece, non ha voluto aspettarmi, e questa è la verità. Adesso ho ricevuto l’idoneità sportiva dal medico, posso tornare a giocare. Se il Nola avesse avuto pazienza e mi avesse dato anche solo il 20% dello stipendio, sarei tornato e avrei rispettato il contratto.”

Sulla vertenza – “Non ho voluto fare nessuna vertenza contro il Nola, perché non mi interessano i soldi, anche se ne avrei bisogno, perché vivo di calcio. A me interessava il gesto, la vicinanza. Potrei fare una vertenza ora, ma non voglio farlo, perché voglio tornare a giocare, cambiare aria, e non voglio più giocare per persone che non considerano l’aspetto umano. Per me, l’aspetto umano viene prima di quello calcistico. Non farò vertenza perché ho firmato la rescissione a zero e non prenderò un euro dal Nola, perché sono una persona seria. Ciò non toglie che la verità deve uscire. Non accetto che venga usata la mia salute per fare passerelle.”

Sui tifosi – “Mi sento di dire ai tifosi che la mia rescissione è dovuta esclusivamente alla dirigenza e a come sono stato trattato. Lo staff tecnico, i giocatori e i tifosi mi sono sempre stati vicini. Non è un addio, ma un arrivederci. È brutto, ma non meritano questo, non meritano la situazione che si è venuta a creare. Mi allontano dalla società, non dai tifosi, che rimarranno sempre nel mio cuore per come mi hanno trattato. Voglio salutarli. Prendo le distanze dalla società, ma non dalla città di Nola.”