Il giorno dopo Lecce-Napoli. Tra brividi, prova del DNA e polemiche: un Conte di misura non stecca e si prende la vetta

La prova del DNA – Napoli è una piazza piuttosto delicata, contraddittoria e irrazionale, smesso mossa più dalla pancia – e da un sentimento viscerale – che non da un necessario contare fino a dieci. Questo, Antonio Conte, lo sa, ed è per questo che in conferenza deve giocarsi tutte le proprie armi per lanciare segnali e difendere sia la sua posizione che quella della sua squadra. Il Napoli vince di misura a Lecce, rispolverando un certo DNA contiano ed affidandosi al solito, onnipresente, a tratti sottovalutato, Frank Zambo Anguissa. Il centrocampista camerunense svetta più in alto di tutti e insacca alle spalle di Falcone, guidando i compagni alla conquista di tre punti che permettono al Napoli di godersi (almeno momentaneamente) la vetta in solitaria.

Ma Napoli è una piazza così delicata che, nonostante la vittoria, ci si lamenterebbe adesso della prestazione offerta dai partenopei. Sia chiaro, certo, che la prestazione non è stata poi così incisiva, ma contro squadre insidiose – quelle da sempre etichettate come le piccole del campionato – è necessario in primis non steccare. E Antonio Conte aveva bisogno di ritrovare una certa continuità, specie dopo la doppia sconfitta tra Torino e PSV, sulla scia del tris calato all’Inter al Maradona, sabato scorso. Una prova del DNA, capire se il Napoli ha mantenuto una certa tempra: quella di chi, a tutti i costi – e ben considerando il momento difficile di stagione in cui si riversa -, vuole vittoria e tre punti, col coltello tra i denti e con lo stomaco mai sazio.

I brividi. Di brividi, come un canovaccio che accompagna una certa storia azzurra, ce ne sono stati eccome. In primis, quando Pierotti piega la caviglia di Matias Olivera; e quando, con l’agonismo di chi vuol stare sul pezzo, “prende di mira” anche Noa Lang. E se per l’uruguaiano lo spavento è tanto ma viene scacciato poco dopo, l’ex PSV è costretto ad uscire al 46′, disputando solo un discreto primo tempo. Gli azzurri non riescono ad essere molto incisivi in fase realizzativa, ed evidenti sono le difficoltà di Lucca che, sebbene giochi bene un paio di palloni spalle alla porta coi giusti tempi di gioco, a due passi da Falcone non dà mai la sensazione del gol. Il Napoli arriva a concludere più pericolosamente con Olivera e Politano, ma non è un caso se a sbloccarla sarà solo la testa di Anguissa nella ripresa.

Gli azzurri mantengono il possesso e fanno buon giro palla, e Gilmour fa quello che forse meno fa Lobotka: premiare gli inserimenti alle spalle della difesa, un po’ alla Jorginho nel Napoli di Sarri – una richiesta, forse, dettata anche dalla scelta di un 4-3-3 a cui Conte ritorna dopo la pesante batosta di De Bruyne. Non senza rischi però. Specialmente nella ripresa il Lecce di Di Francesco cresce, riesce a far male spesso sulla sinistra, e gli azzurri giostrano male qualche pallone sporco a ridosso della propria trequarti. Prova ne è lo spazientito Antonio Conte che non risparmia nessuno e “urla in testa” persino a quell’Anguissa che ha fatto rinascere e che gli ha regalato tre punti. C’è poi Milinkovic-Savic, e anche stavolta (ancora) Conte dimostra di avere ragione: 22 mln per l’acquisto di un portiere – naturalmente criticati all’inizio, e forse fino a poco fa – che ha messo i guantoni su tre punti pesantissimi e che, dopo aver incalzato Meret, lo sostituisce momentaneamente senza rimpianto alcuno.

Le polemiche – Dopo il battibecco tra Marotta e Chivu, dettato dal rigore concesso a Di Lorenzo, neanche il tempo di una settimana che scoppia un altro episodio dubbio. Il calcio di rigore, calciato da Camarda e neutralizzato al meglio da Milinkovic, scaturisce da un fallo di mano di Juan Jesus. Fallo di mano che, a detta di chi scrive, c’è. Ciò che resta poco chiaro – ed è qui il nocciolo della questione – è la dinamica. Un anno fa al Maradona al Napoli fu negato un rigore per un episodio molto simile, il mani di Dumfries in area nerazzurra – e probabilmente impunito per la distanza ravvicinata tra il pallone e la zona del corpo coinvolta. E non è una questione di scegliere a favore di quella o di quell’altra squadra – c’è un sottinteso di malafede in un parere di questo tipo -, ma di vederci chiaro e di pretendere, a buona ragione, una certa uniformità di giudizio. In questo anche Gianluca Rocchi – non sarà sempre colpa di chi si lamenta -, designatore arbitrale, ha le sue responsabilità.

Ridurre testate e trasmissioni sportive a dare per l’ennesima volta eccessivo peso ad episodi arbitrali dubbi – e forse perché poco chiaro è lo stesso regolamento – rischia di ammazzare progressivamente lo spettacolo, le idee tattiche, i duelli e le emozioni in zona gol delle squadre che scendono sul campo. Ieri ancora una volta. Già un episodio in due partite, e siamo solo all’inizio della nona giornata. Un cambio di rotta è necessario, spegnere le polemiche e innalzare il livello della classe arbitrale dovrebbe essere prerogativa essenziale. L’errore umano è senza ombra di dubbi contemplato, al pari di un calciatore che sbaglia un rigore, ma con un regolamento chiaro nessun arbitro finirebbe sulla graticola applicando la regola e le proprie interpretazioni in maniera più uniforme possibile.

Ma… – Ciò che conta, per Napoli e il Napoli, è che si remi tutti dalla stessa parte. Che non si segua sempre il vento in base a come faccia sventolare le bandiere. Conte ha ragione quando dice che le assenze pesantissime di Meret, Lobotka, Rrahmani, Lukaku, ora De Bruyne, ma prima Buongiorno hanno inciso pesantemente sull’avvio stagionale. E nonostante tutto, facendo di necessità virtù, Antonio Conte guarda ancora tutti dall’alto. Come solo lui sa fare, col coltello tra i denti e lo stomaco mai sazio. Questo dovrebbe – e deve – bastare per sentirsi, anche con le sorti avverse, in mani sicure.

FOTO: SSC NAPOLI