Il Benevento di Inzaghi ha concluso il girone d’andata a quota 22 punti in classifica e, indipendentemente da qualche passo falso – le sconfitte contro Spezia e Crotone, l’amaro in bocca lasciato da sfide come quella con il Torino e con il Sassuolo, comunque tollerabili per la poca esperienza giallorossa in A – chiunque avrebbe messo la firma per vedere una squadra all’undicesimo posto nel momento del giro di boa.
Un girone d’andata che ha visto Inzaghi adottare sempre il suo 4-3-2-1, magari cambiando in corso d’opera ed optando per un 3-5-2 che si traduce non in un approccio difensivista, ma sempre offensivo, come dichiarato dal tecnico a più riprese quando chiamato in causa sull’argomento. Tuttavia, Benevento-Torino ha rappresentato, da un punto di vista tattico, una novità: Inzaghi scende in campo con la difesa a 3 sin dal primo minuto, giocando a specchio nei confronti del collega Nicola.
Il 3-5-2 assicura soprattutto una gran spinta sugli esterni: la certezza di avere tre centrali alle spalle permette la libertà agli esterni di centrocampo, nel caso in questione Improta e Tello di poter spingere e all’occorrenza ritornare per dare man forte in fase di non possesso. Più volte è capitato che il numero 16 sia scalato sulla linea difensiva, difatti riproponendo una sorta di 4-4-2. A fare il terzo centrale di difesa c’è stato Tuia: il suo errore è forse l’unica pecca di una difesa a tre nella quale il centrale italiano si è disorientato nel finale, permettendo a Zaza di infilare per la seconda volta Montipò. La gara, però, non è certo stata il più bello dei capolavori tattici di entrambe le squadre. E’ stata, certamente, una gara un po’ sporca con il duello Hetemaj-Rincon e la volontà di lottare su ogni pallone. Sì, perché proprio il finlandese è spesso stato aiutato da Ionita in fase di raddoppio sul portatore di palla – un’altra caratteristica che ha sempre contraddistinto il Benevento di Inzaghi. E insieme al raddoppio anche quella grande densità in campo che cerca sempre di costringere gli avversari al gioco sulle fasce.
Un Benevento certamente capace di leggere le fasi del match, con maggiore attenzione quando a costruire sono i centrali granata. Quel pressing asfissiante, che aveva contraddistinto la prima parte di campionato, è stato sostituito dalla capacità di aspettare l’avversario e di sfruttare i momenti favorevoli in fase di ripartenza. Una menzione merita anche la scelta di Caprari come seconda punta, a girare intorno a Lapadula. Affiancargli un compagno di reparto più vicino forse potrebbe assicurare una maggiore prolificità: il peruviano ha spesso protetto palla aspettando a rimorchio un compagno per calciare a rete.
Malgrado il cambio di modulo, però, la fase di costruzione della manovra offensiva non ha subito grandi cambiamenti. Viola ha già fatto capire di poter essere il giusto sostituto di Schiattarella – il centrocampista ha comunque dichiarato di volersi giocare le sue carte in serie A, un sano dualismo che non può che fare bene ad entrambi. Sua la palla a Lapadula da cui è scaturito il calcio di rigore, sua la realizzazione del penalty, a lui le redini di un centrocampo che lavora sempre con la stessa idea: scambio in orizzontale e verticalizzazione sulla punta che scatta in profondità. Spesso, infatti, i giallorossi sono soliti allungare le difese avversarie, col peruviano disposto a tener palla anche più lontano dalla porta. In alternativa, quando Viola è ingabbiato ad impostare sono sempre i centrali difensivi – anche in questo caso la costruzione dal basso continua a contraddistinguere i giallorossi. Con un modulo senza esterni propriamente d’attacco si è meno vista la dinamica di gioco nella quale i soliti Caprari e Insigne vengono in contro a prendersi palla, per poi puntare l’aria avversaria o passare dai piedi ben educati di Pasquale Schiattarella. In questo caso l’ex Samp e Parma, come suddetto, gira intorno a Lapadula cercando spiragli per calciare proprio grazie all’aiuto, in protezione del pallone, del peruviano.
Si può analizzare il Benevento e sottolineare che in certi momenti della gara possa peccare d’esperienza – l’errore di Dabo lascia più di un po’ d’amaro in bocca perché si poteva trascinare la gara alla fine portando a casa 3 punti – ma non si può certamente dire che questa squadra non giochi a calcio. Inzaghi sta trovando nel Sannio l’ambiente perfetto per il riscatto in serie A e la dichiarazione di volontà di giocare a calcio è la più bella certezza che un allenatore possa avere, portare alla salvezza le Streghe restando fermi nelle proprie idee di gioco. 4-2-3-1 o 3-5-2 questa squadra ha già assicurato di saper lottare su ogni pallone, di saper lottare fino al 90° di portare a casa risultati positivi per il raggiungimento degli obiettivi.
Il Benevento riparte dalle sue certezze: da un calcio tanto offensivo quanto attento in fase difensiva, dall’instancabilità di Hetemaj, dalla duttilità di Improta, dalla voglia di lottare di Lapadula, dall’equilibrio di Schiattarella e dalle idee di gioco di Inzaghi. Ventidue punti significa -18 all’obiettivo salvezza e la gara di Milano e l’atto che apre il girone di ritorno e i giallorossi vogliono dare il meglio per arrivare prima possibile a festeggiare una nuova certezza della massima serie.
L’ANALISI TATTICA – La novità del Benevento: Inzaghi sceglie il 3-5-2 dall’inizio
