«Ho un enorme desiderio di veder diminuire il carico di dolore, di amarezza, che avvelena gli uomini»
Così Albert Camus, il più giovane premio Nobel per la letteratura insieme a Kipling, si rivolge al filosofo, nonché suo amico, Jean Grenier, al momento della sua adesione al Partito comunista, avvenuta nel 1935, come risposta attiva alla Guerra civile spagnola. Camus, nell’ideologia territoriale del tempo, si definirebbe un pied-noir, ovverosia uno di quei francesi nati in Algeria, e nella sua, di ideologia, v’è sempre stata una posizione poco chiara sulla questione algerina del suo tempo. Negli anni ’50, infatti, i popoli arabi, specie quelli della regione del Maghreb (cioè la parte nord dell’Africa che comprende Marocco, Algeria e Tunisia), si scontrano con la potenza coloniale della Francia per ottenere la piena indipendenza. Nel ’56 il Marocco e la Tunisia sono ufficialmente sciolte dalle dinamiche giurisdizionali con Parigi; lo stesso, tuttavia, non si può dire dell’Algeria, territorio con la presenza più massiccia di francesi (circa un milione) e, soprattutto, con un movimento nazionalista radicale e per nulla propenso al dialogo civile. Nel 1957 – per giunta anno di conferimento del Premio Nobel ad Albert Camus – lo scontro tra Algeria e Francia culmina con la battaglia di Algeri che, più avanti, assume le sembianze di una repressione nel sangue delle spinte nazionalistiche algerine. L’ultima popolazione ad arrendersi alla persecuzione dei francesi è quella situata nella regione della Cabilia, nel Nord-Est: i Berberi. Negli anni Cinquanta e Sessanta parecchi Berberi sono obbligati trasferirsi in Francia, perché molti sono stati harkis, ovvero algerini ausiliari dell’esercito francese. Tra l’oro vi sono Hafid, cabilio originario di Tigzirt, e Wahida, una ragazza algerina di Orano. Insieme formano una coppia di giovani innamorati stanziatisi a Lione, nella regione meridionale dell’Alvernia-Rodano-Alpi, e il 19 dicembre del 1987 vedono venire alla luce il loro settimo figlio, Karim Mostafa Benzema.
Il nome “Mostafa”, nella cultura persiana, indica colui che è il prescelto ed è altresì singolare che, nel caso del protagonista della nostra storia, questo prescelto debba avere una dote su tutte, vale a dire la generosità. “Karim”, infatti, nell’etimologia araba, indica colui che è generoso, oltre che gentile, allegro e, soprattutto, che ama agire più che discutere. Il prospetto perfetto di calciatore, in pratica.
È il Lione la prima vera squadra a scegliere di puntare su di lui, dopo averlo visto tirare i primi calci al pallone, nella categoria pulcini del Bron Teraillon, suo quartiere natale. Il suo approdo nel club avviene nel 2002 mentre nel 2004 arriva il primo contratto firmato con la squadra giovanile dell’OL, con cui mette a segno 50 gol in due stagioni tra under-16 e under-18. La chiamata dei grandi arriva nel gennaio del 2005 con il tecnico Paul Le Guen che lo fa debuttare in Ligue 1 nella sfida contro il Metz, nella quale si rende subito protagonista con un assist. Il primo gol con la maglia rossa, bianca e blu arriva nel dicembre successivo, in Champions League, nella vittoria per 2 a 1 contro il Rosenborg, il primo di una lunga serie. Con il club francese della sua città, Karim vince ogni cosa a livello nazionale e, in particolare, quattro campionati consecutivi, una coppa e due supercoppe di Francia, per un totale di 66 reti in 148 presenze.
Nell’estate del 2009 nella vicina Spagna, Florentino Perez si è da poco insediato come “nuovo vecchio presidente” del Real Madrid. Dopo essere stato a capo del club più importante della storia del calcio dal 2000 al 2006 – portando nella capitale spagnola calciatori del calibro di Luis Figo, Zinedine Zidane, Ronaldo il Fenomeno e David Beckham e conquistando una Champions League e una coppa Intercontinentale – il potente imprenditore assiste all’interregno presidenziale targato Calderon, per poi ritornare prepotentemente in auge vincendo le elezioni nel maggio del 2009. La nuova epopea Perez non solo ricalca i fasti dei Galacticos ma sublima le nuove e faraoniche sessioni di mercato con un ciclo di vittorie in campo nazionale e continentale che segnano il ritorno del Real Madrid sul tetto del mondo.
Il calciomercato 2009/2010 si apre con l’acquisto del brasiliano Kaká, arrivato per 67,2 milioni di euro dal Milan e annunciato il 9 giugno. Neanche tre giorni dopo e alla corte madrilena giunge Cristiano Ronaldo dal Manchester United per una cifra vicina ai 93 milioni di euro. Il 1° luglio, invece, tocca a quel ragazzo di nemmeno 22 anni che tanto bene ha fatto con la maglia del Lione: Karim Benzema, acquistato per la cifra di 35 milioni di euro.
Nel reparto offensivo dei Blancos quello di Karim Benzema figurava come il nome meno rumoroso, a fronte dell’acquisto meno galattico, in una finestra di mercato con circa 250 milioni di euro investiti. La storia di questi 13 anni, però, è quella di una inesorabile escalation che ha portato l’attaccante francese ad essere prima un Gàto (un gatto), poi uno splendido scudiero del re e, infine, re indiscusso della Casa blanca o, se preferite, del Santiago Bernabeu.
Dopo il primo anno difficile sotto la gestione dell’Ingegnere Manuel Pellegrini, conclusosi con zero titoli in bacheca, patron Perez decide di affidare la guida del club a Josè Mourinho, fresco vincitore del Triplete con l’Inter, tra l’altro proprio sul campo neutro del Bernabeu. È così che, attorno alla stella di Cristiano Ronaldo si profila un dualismo di prime punte che vede protagonisti il Pipita Higuain e, appunto, Benzema, con il tecnico portoghese a preferire, evidentemente, il primo. È passata alla storia una dichiarazione di Mourinho rilasciata nel dicembre del 2010, a lamentare uno scarso potenziale offensivo a seguito di un infortunio occorso all’attaccante argentino: «Se ho un cane vado a caccia con lui e torno col carniere pieno, se non ce l’ho vado a caccia col gatto e in qualche modo mi arrangio, ma non catturo le stesse prede». Il bersaglio di questa critica non vuole essere solo il giovane Karim, ma piuttosto il presidente Florentino, da sempre un estimatore del francese, a tal punto da condurre quasi da solo la trattativa con il presidente del Lione Aulas e con lo stesso ragazzo di Lione. Forse è per questo che i rapporti tra l’allenatore di Setubal e il Real Madrid non sono mai stati idilliaci, fino ad arrivare all’addio dell’estate del 2013, per far posto a Carlo Ancelotti.
Con il tecnico di Reggiolo nasce subito una corrispondenza di amorosi sensi ma, inizialmente, è una delle tante, un amore giovanile ma intenso, sugellato in quel del Da Luz di Lisbona con la vittoria della decima Champions League ai danni dell’Atletico Madrid. Un amore bello ma, tutto sommato, passato in cavalleria perché è questo Karim Benzema dal 2009 fino al 2018, un bellissimo ed efficacissimo “Cavalier servente” al servizio del re Cristiano Ronaldo e, a testimonianza di ciò vi sono i 44 assist forniti dalla “punta” francese all’ “ala” portoghese che, in maglia blanca ha messo a segno, in tutto, 450 reti in 438 presenze, risultando ancora oggi il miglior marcatore di tutti i tempi del club della capitale spagnola. Fa specie come il “lavoro di raccordo e di assistenza” sia appannaggio di colui che dovrebbe essere l’approdo finale della manovra di una squadra, ossia la prima punta. In realtà questo dato è rivelatore di quanto di cosa sia Benzema e di cosa sia stato ai tempi di Ronaldo, un numero 9 atipico perché dotato di tutte le caratteristiche di tutti gli interpreti dell’attacco: istinto da killer, continuità nel colpire a rete e capacità di essere fonte di gioco per i compagni rifinendo e raccordando tra le linee.
Tutto passa, o quasi. Da Valdebebas, centro sportivo del Real Madrid intitolato ad Alfredo Di Stefano, son passati: i Galacticos di cui sopra, ci è passato Mourinho, con fare rumoroso, è passato Kakà – ma quasi nessuno se ne ricorda più –, è passato Cristiano Ronaldo, che ha lasciato Madrid nell’estate del 2018 per trasferirsi alla Juventus; è passato, per poi lasciare anche lui, Zinedine Zidane – anche lui berbero di origini e anche lui, come il protagonista della nostra storia, entrato nelle grazie di Florentino e mai più uscitone – portando una Champions da calciatore e ben tre consecutive da allenatore. Chi, invece, è ancora lì, a stupire ad insegnare calcio alle nuove stelle in maglia bianca è Karim Benzema che ha raccolto lo scettro da Cristiano Ronaldo e ha beneficiato dei ritorni in panchina prima del suo conterraneo Zizou e poi del suo primo vero amore calcistico Carlo Ancelotti. È proprio vero, certi amori non finiscono perché con l’attaccante franco-algerino, Carlo Ancelotti, condivide un rapporto che pare tradursi, gestione dopo gestione, e partita dopo partita, in un concentrato di grazia e magia che, chi ama questo sport, non può non notare. Basti pensare che, solo nella passata stagione, Karim The Dream ha messo a segno, solo con la camiseta blanca, 44 gol, ovvero solo due in meno rispetto al totale di reti messe a segno nelle due stagioni con Ancelotti tra il 2013 e il 2015, tutto questo, senza perdere le vecchie abitudini che lo hanno reso uno degli attaccanti più associativi e altruisti della storia di questo sport e soprattutto trascinando la squadra di cui è diventato capitano a vincere per la quattordicesima volta la Champions League, laureandosi capocannoniere della competizione e concludendo quella che di fatto è la miglior stagione della sua carriera. Carriera che, proprio ieri sera, è stata sublimata con la conquista del Pallone d’Oro, per la prima volta assegnato prendendo in considerazione l’arco temporale di una stagione sportiva e non di un anno solare.

Approdo della manovra offensiva delle sue squadre, in fondo, lo è sempre stato, ma oggi è anche quello più naturale del premio individuale più importante, un premio ad una carriera da cattedratico, proprio come dichiarato, nello scorso numero del magazine mensile Il Nuovo Calcio da Davide Ancelotti, figlio e assistente del tecnico del Real Madrid. Ecco cosa ha detto: «In certe cose è lui che insegna a te. È una fortuna vedere un giocatore così, perché capisci tante cose del gioco. La cosa che mi sorprende ogni volta di lui è l’intelligenza calcistica, la capacità di leggere i momenti della gara, di sapere il posizionamento da avere in relazione a quello dell’avversario, di quello che deve avere a seconda dei propri compagni».
«Yo juego para la gente que sabe y le gusta el fútbol». Così, Karim nell’autunno del 2018, a rivendicare la potenza del suo nome, del suo essere generoso perché è così che definiamo chi, per tradurre quanto sopra, gioca per la gente che sa e gode del calcio. E allora, a distanza di quasi un secolo, Albert Camus vedrebbe il suo desiderio esaudito, nell’apprendere che da circa 20 anni c’è un berbero come lui che col suo fùtbol allevia quel carico di dolore e di amarezza, che avvelena gli uomini.
È doveroso citare e ringraziare Carlo Pizzigoni, fonte inesauribile in Storie Mondiali e Nuove Storie Mondiali. Un secolo di calcio in 13 avventure, Sperling & Kupfer, 2018, nonché intervistatore di Davide Ancelotti per Il Nuovo Calcio.
Fonte foto: pagina ufficiale Twitter di France Football
