Il giorno dopo Napoli-Cagliari. Anguissa alza i Decibel, il metodo Conte e l’abituarsi all’abitudine

C’è chi ancora deve realizzare cosa sia accaduto a Napoli nell’ultimo anno e mezzo (o quasi). C’è chi ancora deve realmente capire l’apporto e l’impatto che Antonio Conte sta avendo sull’ambiente dipinto d’azzurro. Napoli-Cagliari non è certo un remake dello scorso anno, anche se ne condivide le sorti. Tuttavia, non è una parentesi a sé, non è una partita sospesa da mettere da parte in virtù del Napoli che ci si può aspettare a stagione in corso – a maggior ragione se Hojlund, ancor più di Elmas, potrà incrementare il peso dell’attacco. Sarà, ed è giusto dire – indovinino gli altri quanto in modo provocatorio -, parte del canovaccio di Antonio Conte.

Nell’arco dei novanta minuti il Napoli non è brillante, a volte pecca di lucidità, ma ne ha quel tanto quanto basta per superare un Cagliari tecnicamente distante un abisso. Sebbene Caprile dica no due volte a McTominay, una per tempo, il baricentro adottato dalla corazzata difensiva sarda è destinato a non vedere i propri frutti. Al 95′ l’invenzione di Buongiorno permette al solo Anguissa di battere l’ex Napoli e di far esplodere il Maradona, una circostanza che sembra quasi perfetta per riabbracciare lo storico speaker che ha nella parola decibel lo specchio della sua bravura e dell’amore che lo lega ai tifosi azzurri, di cui è sempre stato un rappresentante eccellente sul campo. Non si può certo essere soddisfatti delle prestazioni dei nuovi, Lucca e De Bruyne in primis.

E se al belga si perdona tutto perché da quei piedi, si sa, può venir fuori il coniglio dal cilindro, sull’attaccante italiano le considerazioni sono diverse. La premessa è che chiunque abbia onestà intellettuale saprà riconoscere che la critica è relativa alla gara – Lucca continua ad essere l’attaccante ideale, per caratteristiche, da regalare ad Antonio Conte (a patto che, come dichiarato dal salentino, segua le orme di Lukaku). L’ex Udinese lavora anche bene di corpo, difende palla ma è poco incisivo, complici i cross da destra e sinistra poco precisi per la sua testa. Ma ciò che manca di più a Lucca è probabilmente l’attitudine ad essere uomo-boa unita alla capacità di servire ai compagni palloni su un piatto d’argento, forse, ciò che più ha fatto innamorare Conte di Lukaku, e che permette di sfruttare il peso specifico di un attaccante per creare spazio. Trascinarsi via la squadra facendo inserire – e servendoli egregiamente – centrocampisti ed esterni a gogo. Per Lucca il potenziale c’è, con Hojlund ad alleggerirgli il peso delle responsabilità in una piazza forse fin troppo calda per lui – e con un Lukaku in più da mentore – potrà fare la differenza. Forse, allo stato attuale delle cose, più di quanto si possa immaginare.
Non c’è dubbio che si commette un errore se si pensa che De Bruyne non abbia bisogno di lavorare, come peraltro ha ammesso lui stesso confermando il bisogno di adattarsi alla squadra e al calcio italiano. Un calciatore come l’ex City può farti la differenza sempre, ma va messo nelle condizioni giuste per farlo. E forse, sotto questo punto di vista, Conte dovrà ancora lavorare ritagliandogli un ruolo ad hoc che, se da un lato non lo renda poco partecipe in fase di non possesso, dall’altro sappia esaltarlo permettendogli conclusioni ed assist per fare una differenza importante anche nei numeri.

Ma Conte sa che due innesti nuovi trovano il perfetto piatto della bilancia nelle conferme di elementi come Politano, Anguissa, Lobotka, l’imprescindibile McTominay e il generoso Spinazzola – che forse l’allenatore sceglie per provare a colpire su entrambe le fasce, rinunciando ad un Olivera forse più bravo in copertura che in avanscoperta. E tanto basta. Perché una partita è un insieme di tanti momenti che gli interpreti calcistici devono saper leggere con esperienza. Il Napoli soffre poco o nulla, continua ad attaccare a testa basta, pecca sotto porta qualche attimo prima del vantaggio ed è forse poco lucido in altre occasioni, ma non si arrende e aggancia i tre punti al 95′, col gol di chi pian piano sta diventando padrone silenzioso del centrocampo. In queste partite c’è la chiave che la filosofia di Conte sta apportando agli azzurri, una mentalità da grande squadra sottilissima che ben si rintraccia nel classico refrain del sono antipatico perché vinco.
Conte sa benissimo che la station wagon che aveva tra le mani si può trasformare in una super car, ma si nutre di vittorie. Vive per i tre punti, per la rete gonfiata e la testa della classifica. Poco importa come e se la sfera attraversa la linea di porta, l’importante è che l’attraversi.

E se c’è chi vede in una filosofia del genere qualcosa che abbia poco a che fare col calcio moderno – che vive sotto l’esigenza di divertire i tifosi, offrire uno spettacolo, e magari dimostrare che con quello spettacolo si possa anche vincere -, è innegabile che tanti cicli vincenti, specie in Italia, siano nati proprio in seno a quella filosofia. Per Conte non è un passo indietro, ma un enorme passo avanti in una piazza fin troppo abituata a pensare di essere “condannata” a giocar sempre bene. Il tecnico salentino sta portando a Napoli quel che ha reso grande la Juventus, lo spirito e il DNA di una squadra costruita per vincere, esclusivamente per vincere, finendo per accarezzare la pretesa di non mettere mai in conto la sconfitta. Lo step necessario per creare qualcosa di duraturo nel tempo, sradicando radici, attuando silenziosamente una rivoluzione.

Bene sarà se i napoletani si abitueranno del tutto a questo. Ad una squadra, cioè, che non ha sempre bisogno di sfoderare tutte le armi o che, qualora non sempre ne abbia la possibilità, le inventi tutte per spedire la palla in rete e conquistare la vittoria. Ché, indipendentemente da come sia arrivata, la vittoria vale sempre tre punti, e che i gol fatti e i gol subiti possono contare in maniera relativa, allo stretto giro della differenza reti. E Conte sa bene che ci sarà non poco ancora su cui lavorare, ma che se c’è qualcosa su cui si deve essere intransigenti è la fame. Perché se hai fame, anche nelle giornate in cui McTominay è meno freddo sotto porta o De Bruyne non ti dà l’apporto sperato, in cui il Cagliari rischia di macchiare il ricordo dello quarto Scudetto o Pisacane sceglie di indossare l’elmetto e fare scudo in trincea – insomma, nelle cosiddette giornate storte -, la palla è destinata ad entrare. Che ci si abitui, allora. Il Napoli sta diventando sempre più di Conte e del suo meraviglioso e machiavellico fine che giustifica i mezzi.

FOTO: SSC NAPOLI