Che il Napoli di Luciano Spalletti si presentasse ai nastri di partenza della nuova stagione con un nuovo capitano era chiaro sin dallo scorso 8 gennaio, quando il Toronto ha ufficializzato Lorenzo Insigne. Nella testa del popolo azzurro, però, era già ben delineato uno scenario nuovo nel quale le chiavi dello spogliatoio, e dell’intero stadio Maradona, sarebbero giunte tra le mani di un leader silenzioso, punto fermo della difesa e campione, con la sua nazionale, del campionato continentale. A distanza di sette mesi da quella data, a suo modo storica, quello scenario prende forma, direttamente tra i campi d’allenamento di Dimaro, dove i calciatori in ritiro hanno scelto come nuovo capitano Giovanni Di Lorenzo. Una scelta necessaria quella di nominare una nuova guida in campo, in luogo di Insigne ma, soprattutto, in luogo di chi quella fascia avrebbe dovuto indossarla e non è riuscito a farlo se non in rare occasioni, da vice. Stiamo parlando, naturalmente, di Kalidou Koulibaly, trasferitosi al Chelsea per una cifra vicina ai 40 milioni di euro.
Lorenzo e Kalidou sono stati senza dubbio uomini simbolo di Napoli per averne segnato la storia e per aver orientato gli animi di una piazza il cui amore incondizionato non ha mai riguardato la carta d’identità, il paese d’origine o il colore della pelle. Il loro addio però è stato vissuto in maniera radicalmente opposta dai tifosi: un Mineirazo – in riferimento allo storico 1 a 7 subito dal Brasile contro la Germania nei Mondiali 2014, con i Tedeschi avanti per 5 reti a 0 già dopo la prima mezz’ora e i Brasiliani in grado comunque di rassegnarsi all’ineluttabile – quello di Lorenzo il Magnifico per i cinque mesi nei quali i Napoletani hanno avuto modo di metabolizzare il cambio di casacca del loro beniamino; una specie di Maracanazo, invece, la partenza di KK – dove qui si allude alla clamorosa e fulminea rimonta subita dallo stesso Brasile per mano dell’Uruguay nella finale dei mondiali brasiliani del 1950, un trauma che segnò una cultura intera per l’inspiegabilità dell’evento e la velocità dei fatti – perché c’era una trattativa in atto tra il Napoli e l’entourage del capitano del Senegal, per il rinnovo del contratto, che il ds Giuntoli in persona aveva confermato dieci giorni fa:
“Per Koulibaly non sono arrivate offerte speciali da nessun club, ma non nego che stiamo parlando sempre con lui. Il presidente gli ha offerto 6 milioni per 5 anni, netti, senza bonus, parenti a 60 milioni lordi, offrendogli anche un futuro da dirigente del club, perché si è distinto in campo e fuori”.
La quiete prima della tempesta, perché solo due giorni dopo si sarebbe materializzato la notizia dell’approdo al Chelsea già forte, da tempo, dell’accordo col calciatore dopo un’offerta più ampia e una proposta al Napoli in linea con le richieste del club per il suo cartellino.
In questo clima di scoramento generale, una certezza è rappresentata da Giovanni Di Lorenzo, perché se è vero che l’approdo calcistico della manovra azzurra è – e quasi certamente sarà anche per questa stagione – Victor Osimhen, è vero anche che il terzino lucchese campione d’Europa è diventato, in meno di tre anni, un solido punto di riferimento dello spogliatoio, quello stesso spogliatoio che lo ha nominato capitano perché, come dichiarato dallo stesso Luciano Spalletti, è colui che, più di tutti, è perfetto perché “ha rapporto con la squadra, la società e la città, gode della stima dei compagni, ha spessore internazionale ed è un calciatore forte. Il capitano lo fa quello che ha un equilibrio caratteriale capace di rapportarsi in maniera corretta con gli arbitri, la stima dell’ambiente calcistico e il rispetto degli avversari”.
Da un terzino ad un terzino, perché il ventinove ne terzino ex Empoli va a rinnovare una tradizione variegata di capitani azzurri che ha raggiunto il suo apogeo con Diego Armando Maradona ma che, negli anni Venti, è partita con l’italo-brasiliano Paulo Innocenti giunto a Napoli dal Bologna nel 1926 per svolgere il servizio militare. Tuttavia, l’approdo nella neo-nata squadra della città lo esentò dagli obblighi di leva e così, il terzino di Rio Grande do Sul indossò la fascia da capitano per sette anni. Lasciò il Napoli, e il calcio giocato, nel 1937 per inseguire la carriera di allenatore.
L’erede di Innocenti ha un peso ancor più grande nel cuore dei Napoletani. Stiamo parlando di Attila Sallustro, attaccante di Asuncion, italo-paraguayano, che è stato il miglior marcatore della storia del Napoli fino all’avvento del Dies argentino negli anni d’oro. Sono, infatti, 108 i gol di Veltro, in 10 anni di matrimonio con i Partenopei, prima del suo “ultimo ballo” a pochi km di distanza con la maglia, allora biancoceleste, della Salernitana. La tradizione dei capitani oriundi prosegue con l’italo-svizzero Carlo Buscaglia ma, soprattutto, con il Petisso Bruno Pesaola, capitano di lungo corso negli anni Cinquanta che vanta anche ventisette gol e quattro parentesi da allenatore proprio della squadra azzurra. Nella sua avventura come tecnico del club, Pesaola allenò il tandem Sivori-Altafini ma le figure che maggiormente si distinsero durante il suo corso partrnopeo furono quelle di Antonio Juliano – ad oggi il capitano più longevo della storia del club per aver indossato la fascia dal ’66 al ’78 – e Giuseppe Bruscolotti, difensore roccioso, vincitore di due coppe Italia e di uno scudetto.
Nel 1985, Palo ‘e fierro, che a Napoli era diventato, oramai, un’istituzione, prese la decisione di cedere la sua fascia a Maradona, quando la seconda annata del fuoriclasse argentino al San Paolo era alle porte. Bruscolotti, come raccontato da Ciro Ferrara – altro storico calciatore e capitano azzurro – nel suo libro Ho visto Diego. E dico ‘o vero, fu il primo ad intuire che consegnare la fascia al più grande calciatore della squadra, e anche del mondo, lo avrebbe responsabilizzato ulteriormente. Fu un passaggio decisivo per i successivi trionfi del Napoli in Italia, dell’87 e del ’90 e in Europa, con la storica coppa Uefa vinta contro lo Stoccarda nel 1989.
“Lui è napoletano. La merita più di tutti”, le parole che Diego rivolse alla stampa per ricordargli che non c’era solo la sua firma su quel trofeo continentale, che il Napoli aveva appena fatto suo dopo un 3-3 rocambolesco nella gara di ritorno contro i Tedeschi. A quella vittoria complessiva aveva massicciamente contribuito un figlio biologico di Napoli, e fratello acquisito del Pibe de oro, vale a dire il difensore Ciro Ferrara, con il gol del momentaneo 2 a 1, su assist, naturalmente, di Maradona. Ferrara fu scelto come capitano dopo l’addio, quello certamente più traumatico, di Maradona, in quella indimenticabile notte del marzo ’91. Tuttavia, il suo fu un Napoli sempre più avviato verso un inesorabile declino, a differenza della sua carriera, che si sarebbe arricchita di tanti altri trofei ma lontano dalla sua terra.
Maradona non fu l’ultimo argentino ad indossare la fascia da capitano. Va ricordato, infatti, che anche il piraña Roberto Ayala – pilastro dell’argentina del dopo-Diego, con Riquelme, Zanetti e Batistuta su tutti –prima di vincere con le maglie di Milan e Valencia è stato per tre anni tra le fila azzurre e, nella stagione ’97-’98 ha indossato anche la fascia da capitano. Dal 1998 fino aI 2014, i leader azzurri sono stati tutti italiani e tra questi ricordiamo: Pino Batman Taglialatela, che ha difeso la porta azzurra dal ’90 al ’99 con, in mezzo, le esperienze di Palermo, Ternana e Bari, Roberto Stellone, Dario Marcolin e, naturalmente, Montervino, Iezzo e Paolo Cannavaro, alfieri del grande ritorno del Napoli sulla scena del calcio italiano dei grandi e anche dell’Europa, sotto la memorabile gestione di Edy Reja. Il ritorno in serie A del 2007 ha coinciso con l’avvento in azzurro del calciatore probabilmente più iconico del Napoli dopo Maradona, vale a dire Marek Hamsik. L’ex gioiello del Brescia, portato all’ombra del Vesuvio grazie all’intuizione di Pierpaolo Marino, ha indossato la fascia da capitano ufficialmente nell’inverno del 2014, sotto la gestione di Rafa Benitez, dopo la cessione al Sassuolo di Paolo Cannavaro. L’ha portata con orgoglio fino al gennaio del 2019, quando ha lasciato il Napoli di Ancelotti per volare in Cina. È notizia degli ultimi giorni quella secondo cui Marekiaro potrebbe tornare molto presto a Napoli, con un ruolo in società come dirigente. Il campione slovacco, infatti, ha confermato, nel corso della trasmissione Si gonfia la rete, che sono in corso dei dialoghi molto proficui con il presidente De Laurentis per un nuovo matrimonio con il Napoli.
Ciò che è successo dopo Hamsik è storia recentissima ed è la storia di una fascia che è tornata sul braccio di un napoletano e di una storia d’amore destinata a durare per sempre che si è conclusa anzitempo. Adesso, invece, è giusto che a guidare il nuovo corso azzurro sia quel terzino che in una notte d’aprile del 2019 ha stregato il Napoli, per dedizione, stakanovismo in campo e anche per un gol da attaccante di rapina.
Le notti di luglio hanno un sapore dolce per Di Lorenzo, perché è in quelle che, evidentemente, si avverano i suoi sogni: da Wembley al Maradona, passando per Dimaro, perché il giovane Giovanni da Castelnuovo di Garfagnana che esprimeva i suoi desideri, come tutti noi facciamo sin da piccoli, è diventato prima un uomo, poi un campione e adesso una guida ma lo ha fatto con l’umiltà del lavoro e delle parole, un valore dinanzi al quale nessuno può rimanere indifferente.
Fonte foto: pagina ufficiale Twitter della SSC Napoli