La vendita e la gestione dei biglietti, la vigilanza all’ingresso e la pulizia dello stadio, il trasporto, il ristoro, addirittura le ambulanze: era totalmente sotto il controllo della criminalità organizzata, la società calcistica Juve Stabia, fondata nel 1907, tra le più longeve del Sud Italia e militante in serie B, finita sotto gestione controllata su decisione del tribunale di Napoli.
Le indagini hanno restituito un “quadro allarmante”, ha detto il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, durante una conferenza stampa a cui hanno preso parte il procuratore Nicola Gratteri, il questore Maurizio Agricola e il prefetto Michele Di Bari.
L’inchiesta dei pm antimafia della Dda Giuseppe Cimmarotta, e della Dna Antonello Ardituro, hanno evidenziato che l’influenza mafiosa era esercitata addirittura sul settore giovanile, la cosiddetta ‘cantera’ dove i figli dei camorristi dei D’Alessandro e degli Imparato, venivano agevolati.
Non solo. Il consuocero del boss D’Alessandro ha ricoperto addirittura la carica di presidente della società.
Emblematico è l’episodio dello scorso agosto, quando il figlio minorenne di un boss detenuto al 41bis, durante un colloquio in carcere, chiesto l’aiuto del padre perché l’allenatore lo teneva in panchina. “Le mafie sono presenti laddove c’è da gestire potere, soldi e visibilità”, ha ricordato Gratteri. Il caso della Juve Stabia è il terzo in Italia che vede l’intervento del giudice per tutelare squadra e tifosi con l’amministrazione controllata. Analoghi provvedimenti sono stati adottati – ha ricordato Melillo – per il Foggia Calcio e il Crotone Calcio e, ha annunciato, ce ne saranno altri non solo per società che si trovano in regioni dove le mafie sono storicamente radicate.
A Castellammare di Stabia, come in altre località, ha sottolineato il procuratore nazionale antimafia, la presenza mafiosa ha prodotto “una degenerazione delle logiche che regolano le manifestazioni sportive” ingenerando un clima in cui “si possono anche verificare tragedie come quella avvenuta di Rieti”.
Il prefetto di Napoli Michele di Bari non ha escluso che le prossime gare casalinghe della Juve Stabia possano essere rinviate, per consentire al pool di amministratori delegati dal tribunale di rimettere la società all’interno del perimetro della legalità. In prefettura, intanto, ha fatto sapere di Bari, “è già al lavoro un gruppo interforze”, per bonificare la società dalla camorra e avviarla su un percorso di legalità. Il questore ha ricordato due eventi critici dell’inchiesta: quello dello scorso 9 febbraio, quando, per Juve Stabia-Bari al Menti di Castellammare, a controllare i tifosi di casa ai tornelli c’era un pluripregiudicato legato ai “Pagliaroni” del clan D’Alessandro, già destinatario di un daspo triennale. Era lui a decidere chi entrava e chi doveva restare fuori. “Io faccio cose qui allo stadio che tu non riesci a fare” ha detto, con tracotanza, all’agente che l’aveva identificato.
“Nella passata stagione agonistica – ha detto ancora il questore – sono stati emessi 38 daspo, 22 dei quali riguardanti persone ritenute legate al clan D’Alessandro e al gruppo malavitoso degli Imparato”. Alla festa organizzata dal Comune lo scorso maggio per l’accesso ai play off, sul palco sono saliti anche tre ultras con Daspo ritenuti legati alla camorra – Giovanni Imparato, Michele Lucarelli e Raffaele Di Somma – delegati a consegnare premi ai calciatori più meritevoli. Sulle curve, infine, di frequente venivano esposti striscioni inneggianti al fondatore del clan D’Alessandro: “Luigi ‘o lione”. .
fonte ansa
foto ss juve stabia
