Da due settimane l’umore degli appassionati di calcio è tornato a dipendere da undici esseri umani che rincorrono un pallone in un prato verde, in vacanza o a casa, in spiaggia o al lavoro, nonostante indicazioni influenzate dal caldo, da squadre ancora in divenire a causa della finestra di calciomercato ancora aperta e dalle scorie del ritiro, o delle campagne di luglio con le nazionali. Che cosa ci ha detto, dunque, il prologo di questa Serie A ma, soprattutto, sarà stato attendibile, con segnali destinati a trovare conferme nei prossimi mesi?
Di certo se lo augura l’Inter con lo scudetto e la seconda sul petto. La squadra di Simone Inzaghi, del neopresidente Beppe Marotta e della nuova proprietà statunitense Oaktree, è rimasta, apparentemente in disparte rispetto alle rivoluzioni estive di mercato che hanno riguardato un po’ tutte le squadre di Serie A. I nuovi volti come Taremi e l’ex napoletano Zielinski sono stati, infatti, ingaggiati a parametro zero a cavallo tra fine 2023 e l’inizio di quest’anno e si sono aggiunti ad una rosa che è rimasta tale, senza l’uscita di nessun protagonista della cavalcata tricolore dello scorso campionato. Basta questo a reputare l’Inter tra le favorite? No, perché il campo è sovrano e se nell’esordio a Marassi contro il Genoa è arrivato un deludente 2-2 e a quello casalingo un non entusiasmante 2-0 contro il Lecce, alla terza giornata il ruggito dei campioni d’Italia si è sentito e forte, con un 4-0 inappellabile all’Atalanta. Posizioni e funzioni che variano in mezzo al campo, interscambi precisi e rapidi, un Marcus Thuram formato capocannoniere e il solito centrocampo torreggiante. Nulla, perciò, è cambiato in questa Inter che sì, è sola in prima fascia, in quella griglia di settembre che conta il giusto, ovvero zero.

Dicevamo dell’Atalanta di Gasperini, che si merita una considerazione particolare non perché si presenti come anti-Inter bensì perché ha rappresentato egregiamente il tricolore italiano in campo internazionale vincendo la scorsa edizione dell’Europa League e riportando questo trofeo nel nostro Paese dopo venticinque anni. L’estate dei bergamaschi è stata poco da Dea ossia poco beata. Illustre la cessione del diamante Koopmeiners alla Juventus, sfortunato l’infortunio al crociato di Scamacca: in poco meno di due settimane l’Atalanta ha dovuto salutare con un addio e un arrivederci i volti della campagna europea d’oro di qualche mese fa ma a Bergamo, da sempre vale la logica del tasi e tira ovvero zitto e vai avanti a lavorare. Il mercato di reazione è stato, perciò un mercato di trazione (anteriore) con gli arrivi di Zaniolo, Samardzic, Retegui, Brescianini, Bellanova, Cuadrado, senza dimenticare il riscatto di un altro grande protagonista come De Ketelaere. In attesa di amalgamare questo humus di grande talento e spinta, la Dea si vede già costretta a rincorrere, con tre punti in tre gare, ma con meno allarmismi di quanto si possa pensare.
La Juventus, detentrice della Coppa Italia, ha cominciato la sua rivoluzione rumorosa sotto la sapiente regia di Cristiano Giuntoli. A fare le spese, innanzitutto, è stato Massimiliano Allegri, esonerato ancor prima della fine dello scorso campionato, per motivazioni che riguardano l’atteggiamento indecoroso della Finale di Coppa Italia a Roma, ma solo superficialmente. Il triennio dell’Allegri 2.0 è stato deficitario sotto ogni aspetto: al netto di una proposta di gioco sempre minimale, votata all’arrocco e alla ripartenza, neanche tanto ben costruita, a mancare sono state le vittorie, il dominio e quel timore che storicamente la Juve impone sugli avversari. In questo senso si spiega la scelta di puntare su Thiago Motta e su uno staff d’avanguardia. Giocare semplice è, appunto, un gesto di grande avanguardia ed è quello che la Juventus sta provando a fare in queste prime uscite: sette punti in tre partite, sei gol fatti, zero tiri in porta subiti e tutto con un apporto dei nuovi arrivati pressoché pari allo zero, segno che per proporre qualcosa di virtuoso non serve avere il forziere più pieno. Ma la Juventus ha anche quello o, quantomeno, ha speso più di tutti. Al tecnico ex Bologna, Spezia e Genoa, infatti, è stato fatto un mercato da quasi 200 milioni di euro, al netto di riscatti esercitabili tra un anno. Douglas Luiz, Kephren Thuram, Nico Gonzalez, Koopmeiners sono solo quattro dei volti nuovi su cui la Juventus si poggerà per una stagione che la rivedrà impegnata in Champions, ma anche al mondiale per club del prossimo luglio che i bianconeri vorranno disputare da protagonisti e da campioni d’Italia.
Sembravano più gentili e armoniche la rivoluzioni di Milan e Roma, con i rossoneri che si sono affidati all’ex tecnico proprio della Roma Paulo Fonseca per dare battaglia ai cugini dell’Inter e i giallorossi, conquistati dall’impatto di De Rossi, che lo hanno prima riconfermato e poi dotato di un gran numero di nuovi calciatori. Due estati equivalenti, quelle sull’asse Milanello-Trigoria, sugellate dallo scambio delle ultime ore di mercato tra Saelemaekers e Abraham, da polemiche che sarebbero sorte nei rispettivi spogliatoi e da un 2, alla voce “punti in classifica” che le accomuna dopo le prime tre giornate di Serie A. Il profondo cambiamento che è andato in scena richiede senz’altro un giusto tempo che non può essere quello di un mese e poco più. Oltre ai volti nuovi in panchina (sebbene De Rossi sia a Trigoria da gennaio, va ricordato che quello di luglio è stato il suo primo ritiro da capo allenatore) vanno amalgamati gli interpreti in campo, su tutti le prime punte come Morata e, appunto, Abraham (entrambi bene nei rispettivi esordi) e poi Dovbyk, capocannoniere col Girona della scorsa Liga ma ancora a secco con la squadra della capitale. Gioco e punti arriveranno, a patto che calciatori, tecnici e dirigenti facciano fronte comune, per non ingigantire i prodromi di quella che già è stata annunciata come una crisi.
Nel consesso europeo che avrà inizio al rientro da questa sosta nazionali troveranno spazio anche Bologna – al tavolo principale della Champions – e Fiorentina, per il terzo anno di fila in Conference League. L’anteprima stagionale di queste due squadre non è stata affatto buona, con il rossoblù Vincenzo Italiano che non ha ancora tradotto nei risultati e sul campo quell’impronta di calcio che lo contraddistingue e che ce lo ha fatto conoscere tra La Spezia e Firenze. Il suo Bologna, orfano di Calafiori, Zirkzee e di Ferguson, con quest’ultimo che tornerà nel 2025, dovrà imparare a correre senza gli alfieri della scorsa stagione ma le prime uscite con Udinese, Napoli ed Empoli hanno certificato tutta la difficoltà nel ripetersi. E tra due settimane inizia la Champions.
La Viola, cha ha detto addio proprio ad Italiano, ha inaugurato in maniera mesta il nuovo ciclo Palladino, con cinque pareggi in altrettante partite ufficiali e lo zuccherino di un passaggio ai gironi di Conference dopo i tiri di rigore. Il calciomercato ha visto arricchirsi quello speciale almanacco delle stelle vendute alla Juventus dopo Baggio, Bernardeschi, Chiesa, Vlahovic anche Nico Gonzalez volta le spalle alla Fiesole per abbracciare la Mole. In compenso, il mercato in entrata è di assoluto livello, con la classe di Colpani e Gudmundsson al servizio di Moise Kean, che dovrà lavorare e non poco per ritornare alla versione del PSG della stagione ‘20/’21. Intrigante il ritorno di Gosens e un centrocampo potenzialmente tutto nuovo con Cataldi, Adli e Bove.
C’è tanto materiale su cui lavorare anche in quel di Formello e quindi in casa Lazio. Le mani dell’artigiano non sono più né quelle di Sarri né quelle di Tudor bensì di Marco Baroni, tecnico sempre fin troppo sottovalutato ma che è reduce da due campionati coi fiocchi con Lecce e Verona. L’estate laziale ha visto l’addio, dopo otto anni, di Ciro Immobile, totem della storia del club di Roma, con 207 gol e miglior marcatore di sempre in tutte le competizioni. A salutare la capitale è stato anche Luis Alberto che proprio con l’attaccante napoletano ha fatto le fortune del club negli ultimi sette anni. La società ha deciso di sostituirli non con altri due nomi altrettanto pesanti bensì con un intero comparto squadra, tra titolari e riserve: Dia, Tchaouna, Noslin – alfiere in campo del Verona di Baroni –, Dele Bashiru ma anche Castrovilli a parametro zero e una freccia sulla sinistra come il portoghese Nuno Tavares, ex Arsenal e Marsiglia. Il campionato è cominciato con quattro punti in tre partite ed è innegabile che anche Baroni, come i suoi colleghi, avrà bisogno di tempo per attecchire su questo gruppo nuovo ma i suoi principi di gioco come pressing sul portatore avversario e verticalità sono già ampiamente riconoscibili.
In mezzo, nel Purgatorio anonimo tra la sofferenza per non retrocedere e l’affanno per arrivare in Europa, c’è il Napoli e la consapevolezza di partire da un decimo posto che, come detto chiaramente da Antonio Conte, non è stato un caso. E non è stato casuale nemmeno il calciomercato estivo, con una ratio dettata dallo stesso tecnico leccese che fa da contraltare buono alla campagna acquisti “bulimica” di gennaio. Lukaku e Buongiorno sono i giganti buoni, terminali di una manovra tutta da scoprire e che ha fatto fatica ad essere concretizzata come si deve in queste prime fasi di stagione. Ad accompagnarla, allora, un centrocampo rinnovato con McTominay, Gilmour oltre che Lobotka e Anguissa e sugli esterni, il riferimento Kvara e la nuova freccia Neres, già protagonista con due assist nelle due vittorie casalinghe contro Bologna e Parma.

Cos’altro ci ha detto questo primo scorcio di Serie A?
-senza dubbio che il Torino di Paolo Vanoli e il neo-promosso Parma di Fabio Pecchia sono le due sorprese principali per proposta offensiva e capacità di essere protagoniste anche a scapito di avversarie di turno ben più quotate;
-che l’Udinese sta provando a smettere di trascinarsi verso l’anonimato – o peggio, ad una retrocessione dopo trent’anni – e che lo sta facendo con strumenti e valori nuovi come quelli portati dall’ex venditore di polizze assicurative come Kosta Runjaić e con il suo calcio un po’ balcanico e un po’tedesco, finora redditizio con sette punti in tre partite.
-che Di Francesco vuole togliersi di dosso questo stigma da allenatore finito con un calcio propositivo che fa affondare, tuttavia, chi lo pratica e che il Venezia vuole provare con lui ad invertire il trend negativo;
-che è rischioso cominciare una stagione con mister Davide Nicola in panchina. Sarebbe saggio, piuttosto, stringere con lui un contratto tacito e poi farlo sedere in panchina da febbraio/marzo per avere la sicurezza di avere salva la categoria;
-che Monza e l’U-Power Stadium rischiano seriamente di non essere più un posto da luna di miele calcistica, per i brianzoli stessi;
-che la Serie A non è una gita sul Lago di Como e che il neo-promosso, ricchissimo, Como 1907, ad oggi, non è poi tutto questo George Clooney;
-che il monacale Lecce sarà invischiato fino all’ultima giornata nella lotta per non retrocedere ma guai a dubitare né di Luca Gotti né di Pantaleo Corvino;
– che Empoli e Verona sono partite in modo convincente e ad oggi si confermano luoghi fertili per far crescere giovani virgulti;
-ci fosse uno scudetto per l’ambiente, e l’atteggiamento in campo, Genova e il suo Genoa sarebbero là su a contenderselo e invece tocca lottare per la testa della parte destra della classifica. Gilardino sarà atteso da un campionato più difficile e gli strumenti a sua disposizione saranno meno d’avanguardia rispetto ai Gudmundsson o ai Retegui. La salvezza passerà da dettagli di nervi, prim’ancora che di gioco, ma Marassi è un terreno più che ostico per chiunque nutra qualsiasi velleità di classifica.
Fonti foto: pagina ufficiale SSC Napoli, pagina ufficiale FC Internazionale Milano
