Pillole di Calcio – Addio a Maurizio Costanzo, maestro del giornalismo fino all’ultimo. Il suo esempio, nel suo salotto, con degli ospiti speciali

“Qualche tempo fa, leggevo, che in base ad uno studio, il sorriso di un tifoso verso i giocatori farebbe aumentare le prestazioni degli stessi giocatori, addirittura del 12%”.

Ne avrà portati tanti di sorrisi lo scorso infrasettimanale di coppe europee: sette italiane agli ottavi di finale non si vedevano dal 1991, allora ne erano otto e tra queste l’Inter arrivò in fondo vincendo la Coppa UEFA. I nerazzurri di Trapattoni ebbero la meglio contro la Roma ed è proprio ai giallorossi che si rivolge il virgolettato di cui sopra. Dopo 32 anni, e nonostante il nuovo format, la Roma può ancora sognare quella coppa, specie dopo il carico di consapevolezza fatto nella sfida casalinga contro il Salisburgo, ribaltato per 2-0 dopo aver perso l’andata. A sostenere tifosi, tecnico e calciatori, fino alla partita di ritorno del play-off contro gli austriaci, c’è stato Maurizio Costanzo con la sua consueta rubrica del Corriere dello Sport “Pensieri giallorossi”, datata 23 febbraio 2023. Di fatto, è stato affidato al calcio l’ultimo contributo giornalistico di un uomo che ha rivoluzionato la comunicazione in Italia e che ci ha lasciati lo scorso venerdì 24 febbraio all’età di 84 anni, dopo una vita intera dedicata a parlare con la gente, dalle reti più umili per arrivare poi alla Mediaset, che lui stesso ha contribuito a plasmare fino all’ultimo giorno.

Lui che aveva cominciato commentando, a soli diciotto anni, e tappa per tappa, il Tour de France per una piccola testata romana denominata Paese Sera, ha annoverato il pallone tra le sue più grandi passioni e, in particolare, la Roma, della quale è stato responsabile per le strategie di comunicazione dal giugno 2021 fino al febbraio di un anno fa. Appunto, comunicazione: Maurizio Costanzo ha saputo raccogliere come nessuno gli echi provenienti dall’estero – specie dai paesi anglofoni – e riguardanti il modo di fare informazione parlando alla gente e con la gente. Il genere televisivo del talk-show, talvolta declinato anche in forma sportiva, è stato importato dal giornalista romano a partire dalla metà degli anni settanta ed è stato improntato sulla presenza in studio di più ospiti, per lo più famosi, ciascuno con una sua opinione in merito ad un determinato tema di giornata. Il salotto del Maurizio Costanzo Show, tara i tanti da lui ideati, è, sin dal 1982, un esempio di costante avanguardia nonostante tutto fosse apparito sempre uguale, dal Teatro Parioli di Roma allo star seduto dell’invitato. In realtà, il gentile conduttore ha saputo prendere sempre il buono dagli influssi provenienti dall’esterno, stando sempre al passo con i personaggi che ascoltava, ciascuno figlio del suo luogo e del suo tempo. Del resto, Costanzo aveva già dimostrato di saper ascoltare – non prima di aver fatto le domande giuste – figure del calibro di Totò, anche se non al suo MCS bensì per il giornale TV Sorrisi e Canzoni, all’alba degli anni Sessanta.

Memorabile, invece, è l’intervista che il giornalista Mediaset – questa sì per lo show che porta il suo nome – ha fatto a Diego Armando Maradona nel 2017, quando El Pibe de Oro allenava il Fujairah Football Club di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. In questo testa a testa tra geni rivoluzionari c’è tutto Diego e tutto Costanzo, nel loro essere due uomini all’apparenza distaccati ma, in realtà, simili per l’empatia e la passione che sono capaci di provare. In poco meno di sette minuti – o per lo meno, nei minuti di video che il web mette a disposizione di chi naviga – il campione argentino non le manda a dire a nessuno: all’allora papa emerito Benedetto XVI e, figurarsi, al suo connazionale rosarino Mauro Icardi, a quel tempo capitano dell’Inter ma sempre nell’occhio del ciclone per le sue “gesta” fuori dal rettangolo verde di gioco. “Lei è ancora giovane, non gioca più a calcio, non si droga più. E da grande che fa? Io, penso che lei sia stato sempre sincero ma le domando: c’è qualche sasso che si vuole levare dalla scarpa su qualche argomento che io non ho chiamato in causa?”. Il filo comune tra queste due domande che Maurizio Costanzo ha fatto in due momenti diversi della trasmissione ma ravvicinati è uno solo: dispensare amore, in qualità di padre e di compagno di vita, tenendo sempre ben saldi i rapporti umani, anche quelli cuciti da zero. In ultimo, invece, il sogno fatto fare ad occhi aperti ad un sorridente Diego, ovverosia di ritornare al centro di un campo da gioco, acclamato dalla folla: “Lei sogna mai di essere in uno spogliatoio e poi di entrare in campo con la folla che la acclama? Dica la verità – Io vorrei continuare a giocare, magari Dio possa darmi altri venticinque anni nel calcio di oggi. Sarei l’uomo più felice del mondo. Ma siccome il tempo passa mi diverto a giocare a pallone con i miei nipoti, con mio figlio e con i miei amici”.

Lo stesso Maurizio Costanzo, nel suo ultimo lascito calcistico nella rubrica di inizio articolo ha parlato di “straordinaria intensità”, identificando il rapporto che lega, in particolare, la tifoseria della Roma alla squadra giallorossa. Non è un caso che quell’editoriale si chiuda con queste due parole in virgolette, a racchiudervi una vita intera – appunto “vita”, perché “carriera” ridurrebbe questo concetto a mero lavoro – passata a creare connessioni autentiche con gli altri. Tra loro anche il giudice Giovanni Falcone, ucciso dalla mafia nel 1992, un anno prima che la stessa Cosa Nostra tentasse – senza, per fortuna, riuscirci – di mettere a tacere Maurizio Costanzo con un altro attentato, per aver continuato a portare avanti la lotta al crimine organizzato. La sua guerra giusta l’ha condotta con il solito metodo di quando – ben più tranquillamente – ha raccontato il ciclismo, il cinema o anche il calcio: con passione, nella forma di domande ben fatte perché provenienti dal profondo dell’animo e perché svincolate da qualsiasi rapporto di convenienza o di interesse, con un unico fine: la verità e la giustizia. Così – e stavolta nelle vesti di colui che viene intervistato – nel programma Porta a Porta, il 18/12/2018: “Non dobbiamo rassegnarci alla decadenza. Non dobbiamo farlo. Finché abbiamo una telecamera e qualcuno che l’accende su di noi, dobbiamo dire le cose e lo dobbiamo fare per i più giovani, per tutti, credere in questo paese, non lasciare che si appiattisca. Io sono assolutamente convinto di questo e penso che chi fa il nostro lavoro ha il dovere di cercare di tener desta all’attenzione. Penso. Tu che pensi?”. A proposito di domande ben fatte. E tu che pensi?

Grazie

Fonte foto: pagina ufficiale Twitter AS Roma