Pillole di Calcio – “Mandi”, Napoli! Perché, ad Udine, Spalletti può chiudere un cerchio?

Difficilmente qualcuno potrà dimenticare lo scorso 30 aprile, per il carico di emozioni a partire dal mattino, neanche troppo tardo. Verso l’ora dell’aperitivo, infatti, era arrivato già il momento di pensare al pallone, quello di San Siro. Il cuore era sul terreno di gioco del “Maradona” ma un occhio, se non addirittura entrambi, andavano sugli schermi per Inter-Lazio, anticipo delle 12:30 con il sogno dell’1X. La rimonta pazza, dei nerazzurri, vincitori contro la squadra di Maurizio Sarri, non sarebbe stata l’unica cosa folle della domenica partenopea, alle prese con la festa scudetto e con giusto una “partitina” da giocare con la Salernitana.
Del resto Sarri lo aveva detto alla vigilia: “È stata apparecchiata la tavola per la nostra sconfitta!”. Chi avrebbe potuto aggiungerci un altro bel carico – vale a dire Paulo Sousa – invece, non lo ha fatto e, quasi solo soletto con la sua squadra, è andato da Salerno a Napoli senza le spezie per farsi cucinare anzi.
Il gol di Dia e le parate di Ochoa, a fissare Napoli-Salernitana sul risultato di 1-1 giustificano il “difficilmente” di cui sopra perché, certamente, una vittoria contro i granata avrebbe, almeno, propiziato una festa in campo stile Roma-Parma del 17 giugno 2001. Allora, il terreno dell’Olimpico fu invaso letteralmente dal popolo romano, addirittura prima del triplice fischio cosa che sarebbe potuta costar cara ai giallorossi a rischio sconfitta a tavolino. Solo l’intervento di stuart e calciatori poté condurre quella partita al termine, con l’immagine di qualcuno degli eroi a finire la gara senza pantaloncini, e capiamo bene il perché.

Testa, dunque, alla trentatreesima giornata. Diciamo subito che gli Azzurri possono laurearsi campioni d’Italia anche senza scendere in campo. In virtù del pari della Juventus a Bologna di domenica sera, infatti, il Napoli guarderà Lazio-Sassuolo mercoledì alle 21:00, tifando, in via eccezionale, per i neroverdi di Dionisi. Dovesse avere la meglio Sarri, la Dacia Arena potrebbe essere il teatro dei festeggiamenti, più ameno del Maradona, certo, ma ad avercene di questi problemi!
In ogni caso, Mandi, Napoli! Dove mandi sta per un saluto tipicamente friulano dall’etimologia incerta. L’origine, decisamente evocativa, potrebbe riguardare più i napoletani che i friulani. Infatti, potrebbe essere l’abbreviativo di manus dei, letteralmente “mano di Dio” e non c’è bisogno di aggiungere altro. La forma mandi, racchiude, però, insieme al saluto, anche l’essere una raccomandazione (mi racomandi – mi raccomando), quasi come a voler mettere nel cuore e nelle gambe dei calciatori azzurri, il proposito di tornare all’ombra del Vesuvio con “quella cosa là”.

Udine, per questo Napoli e per il suo allenatore, non è e non sarà mai una piazza qualunque e, neanche troppo casualmente, gli azzurri potrebbero laurearsi campioni d’Italia allo Stadio Friuli.
Nel marzo del 2001 il club bianconero esonera il tecnico Luigi De Canio e chiama sulla sua panchina Luciano Spalletti, reduce da un’esperienza in chiaroscuro a Venezia. Dopo una parentesi felice ad Ancona, in Serie B, il tecnico di Certaldo torna sulla panchina friulana nell’estate del 2002 e, in tre anni, conquista in serie due qualificazioni in Coppa UEFA e una storica qualificazione in Champions League, con il quarto posto nel campionato 2004-2005. In vent’anni, più che diventare grande, il buon Luciano da Certaldo ha reso grande, talvolta ridando status a piazze come Roma, la Milano nerazzurra e adesso quella partenopea. Se c’è un uomo al quale l’Udinese deve un pezzo consistente della sua essenza, quello è l’attuale tecnico del Napoli, alla pari, forse, di Zico e del partenopeo Totò Di Natale. La riconoscenza non è un dono gratuito e Spalletti – Sassuolo permettendo – non vedrebbe l’ora di sudarselo davanti al suo vecchio popolo.

Se c’è una cosa che nessun allenatore disdegnerebbe è quella di vincere in goleada. E proprio lo scorso Udinese-Napoli si è concluso con un 4-0 a favore degli azzurri con i gol di Osimhen, Rrahmani, Koulibaly e Lozano. Qualche traccia del futuro – che ora è presente – si percepiva già, quel 20 settembre del 2021.
Ne è passato, invece, di tempo, da quel 2 settembre 2007. Sotto un insolito sole canario che batteva sul Friuli-Venezia Giulia, il Napoli di Edy Reja e del ds Pierpaolo Marino – oggi ds proprio dei bianconeri di patron Pozzo – si presenta al cospetto dell’Udinese di mister Pasquale Marino quasi come carneade designato. Gli azzurri erano alla seconda partita in Serie A dell’era De Laurentiis, dopo un esordio non indimenticabile in casa contro il Cagliari, con sconfitta per 2-0.
Ci sono: un comandante italiano, un’ala imprendibile e un centrale d’attacco con l’anima profonda dell’Africa. No, non è il match prewiev della partita di giovedì sera, bensì il ricordo della gara che fu Udinese-Napoli, gara valida per la seconda giornata di Serie A 2007/2008. Quella sfida fu un’esibizione azzurra, guidata proprio dai tre interpreti di cui sopra. Ad aprire le danze fu proprio Marcelo Zalayeta, imbucato da un “fulmine” ancora semisconosciuto in Italia, ossia Ezequiel Lavezzi. Impossibile non pensare, anche solo per un attimo, alla connessione rioplatense tra El Pocho ed il Panteron, nel vedere oggi Kvaratskhelia e Osimhen, specie in quella partita. Oltre al gol dell’argentino, e alla doppietta dell’uruguayano ex Juventus, in quel match di sedici anni fa andarono a segno anche il difensore Maurizio Domizzi e il Pampa Sosa, a firmare un 5-0 storico che sembrò sin da subito solcare un percorso.

Il percorso verso le stelle, cominciato in quella domenica soleggiata di fine estate di sedici anni fa, potrebbe compiersi tra due giorni, con la chiusura di un cerchio, proprio in quel di Udine, dove la magia ebbe inizio: la stessa che oggi, cinquemilasettecentoventuno giorni dopo, avvolge la città di Napoli e la accompagna nella storia.