Vent’anni di SSC Napoli – La svolta Benitez. Napoli entra nell’Eurozona: le grandi firme, le notti memorabili e quella sensazione di incompiutezza

Pronto, Rafael? No, non è un talk show di intrattenimento leggero. Quello, semmai, rispondeva al nome di “Pronto, Raffaella?”, condotto, appunto, dalla Carrà e andato in onda dal 1983 al 1985. Certo, prima di farla questa telefonata all’interlocutore, Aurelio De Laurentiis o chi per lui, avrà ascoltato “Tanti Auguri” – per gli amici “Com’è bello far l’amore da Trieste in giù” – e, nella fattispecie, la parte in cui la Raffaella Nazionale dice “E se ti lascia lo sai che si fa? Trovi un altro più bello, che problemi non ha”.

Di problemi Rafa Benitez non ne ha molti nella primavera del 2013 o, meglio, uno sì: com’ era stato possibile che il Chelsea gli avesse appena dato il benservito dopo aver raddrizzato una stagione cominciata sotto la stella più cattiva con Di Matteo in panchina e poi compiutasi con la vittoria dell’Europa League? Possibile che non ci fossero i margini per continuare quest’avventura in terra londinese, magari affidando proprio al tecnico spagnolo il calciomercato e la preparazione atletica estiva della squadra? No, perché per l’allora patron Abramovich, il richiamo del passato con José Mourinho era più forte. E allora ecco che il sedotto e, immeritatamente, abbandonato don Rafa è conquistato dalle lusinghe di una nuova fiamma, meno ricca ma più calda e grondante di passione. Il 27 maggio del 2013, Napoli e l’Italia riaccolgono il tecnico spagnolo dopo la mestizia dei sei mesi all’Inter – da giugno a dicembre 2010 –, con tifosi e calciatori della Beneamata fin troppo nostalgici dalla stagione precedente per godersi anche Supercoppa Italiana e Mondiale per Club, perché trofei-strascichi del miracolo di quel Mou di cui sopra.

All’ombra del Vesuvio, invece, il solco lasciato da Walter Mazzarri non è minato come a Milano. Il Napoli lasciato in eredità dal tecnico di San Vincenzo è una creatura nazional-popolare, costruita a misura di Serie A e Coppa Italia ma ancora troppo sconosciuta in Europa: sbarazzina ma ingenua nelle notti di Champions (vedi la rimonta del Chelsea nel 2012 da 3-1 a 4-5 tra andata e ritorno), sprecona, arruffona e arrendevole in quelle di Europa League (vedi 0-3 al San Paolo contro il Viktoria Plzen, nei sedicesimi dell’edizione ‘12/’13). Serve, allora, un corso accelerato di lingua straniera e la cattedra se l’aggiudica il madrileno Rafael Benítez Maudes, uno che ha vinto sia l’una che l’altra coppa internazionale. Che comincino le danze allora!

L’asse caldo del nuovo Napoli è proprio quello che collega l’aeroporto di Capodichino con quello della capitale spagnola, e il centralino della SSC con quello degli uffici del presidente del Real Madrid Florentino Perez. Benitez, infatti, chiede e ottiene dal ds Riccardo Bigon e dal patron De Laurentiis, il difensore Raul Albiol e gli attaccanti José Callejon e il Pipita Gonzalo Higuain, erede dello scettro di bomber di Edinson Cavani, diretto al Paris Saint-Germain. Non veniva dalla, Casablanca bensì proprio da quel Liverpool vincente che era stato di Benitez, il nuovo portiere azzurro Pepe Reina, per portare esperienza e leadership ad una squadra che cominciava ad avere sempre di più i connotati vincenti. Quell’estate, il club azzurro investe anche su altri due attaccanti: Duvan Zapata, un ventiduenne colombiano proveniente dall’Estudiantes La Plata e cugino di Cristian una colonna della nostra Serie A di quel tempo con la maglia dell’Udinese; Dries Mertens, un piccoletto belga di 26 anni – che al Napoli aveva già fatto male in una notte olandese di Europa League – e che si dice non regga il confronto con i suoi colleghi di reparto, specie l’altro brevilineo nonché suo rivale di fascia sinistra Lorenzo Insigne, astro nascente.

La faraonica campagna acquisti del Napoli è salutata con i fuochi d’artificio e le cheerleader e, nell’esordio contro il Bologna, il San Paolo si trasforma nello Staples Center dei Los Angeles Lakers, senza mai dimenticarsi della cosa più importante: il calcio. E, infatti, i napoletani sono felici non per i soldi spesi o le americanate. Sono felici perché la squadra gioca bene, i nuovi calciatori si divertono e segnano contro chiunque. Dopo il 3-0 e il 4-2 con cui i ragazzi di Benitez regolano Bologna e Chievo, si inchinano anche i vice-Campioni d’Europa del Borussia Dortmund di Klopp (ve la ricordate la punizione di Insigne!?) e un Milan in versione autunnale, ma pur sempre il Milan, e comunque a San Siro, con una vittoria in terra rossonera che mancava da 27 anni e Pepe Reina che per la prima volta fa assaporare a Balotelli l’amarezza di un rigore sbagliato. Il Napoli c’è, regala emozioni, ma qualcosa comincia a scricchiolare. In campionato cadono le prime certezze e il merito è della Juventus schiacciasassi di Antonio Conte, che avrebbe poi concluso il campionato col record dei 102 punti. In Champions League, se possibile, va pure peggio perché nonostante 12 punti conquistati, l’ex-aequo in testa al girone con Dortmund e Arsenal premia queste ultime per la classifica avulsa e il Napoli è così retrocesso in Europa League.
Va meglio in casa, ancora, perché dopo due anni torna un trofeo nella bacheca partenopea ed è di nuovo la Coppa Italia, vinta dopo il 3-1 contro la Fiorentina grazie ai gol di quei due piccoletti che si pestano i piedi ma senza mai smettere di regalare magie.

Il trofeo arriva ma al Napoli, al suo tecnico e ai calciatori si chiede di più. Non a Reina, volato al Bayern Monaco alla corte di Guardiola per fare il secondo a Neuer. In porta c’è un omonimo del tecnico, Rafael. Un giovane di belle speranze acquistato insieme agli Albiol, Higuain e Callejon nell’infornata dell’anno prima e diventato un Carneade prima e un Calimero poi, con annessi fischi. Il regalo di Natale del 2014 ai napoletani lo fa però lui, parando il necessario nella finale di Supercoppa Italiana a Doha contro l’imbattibile Juve di Allegri e regalando il trofeo a patron Aurelio e ad un’intera città. La notte araba di fine 2014 sarà l’unico momento davvero felice di questa stagione ‘14/’15, cominciata con propositi di maturità e terminata nel peggiore dei modi, ossia con un 4-2 subito in casa dalla Lazio di Stefano Pioli, nella “finale” per il terzo posto di Serie A, che garantiva l’accesso ai preliminari di Champions League. Il rigore alle stelle di Gonzalo Higuain equivale ad un biglietto di sola andata da Capodichino per Rafa Benitez con destinazione a scelta: troppo forte l’onta di un quinto posto in Serie A, al termine di un biennio cominciato con tutt’altri presupposti. Troppo grande l’amarezza, soprattutto, per aver fallito, nei modi più disparati, la scalata europea, vero e proprio obiettivo di ADL. Nella fattispecie, il 2015 poteva vedere il Napoli sul tetto d’Europa dopo 26 anni dalla conquista della Coppa UEFA in terra tedesca. La notte di Wolfsburg del 16 aprile 2015 aveva dato consapevolezza e verve alla truppa di Benitez, con un 4-1 inflitto a De Bruyne e soci ma, in semifinale, il Dnipro di mister Juande Ramos, Nikola Kalinic e di un folletto terribile di nome Konoplyanka, spegne i sogni azzurri, con la gentile complicità delle terne arbitrali, soprattutto al ritorno in terra ucraina.

Il Napoli del biennio spagnolo di Benitez è argento vivo, è Prometeo che ha appena rubato il fuoco agli dèi ma non ha ancora capito come usarlo e, nel frattempo, è anche punito per lesa maestà. È una squadra capace di infliggere dispiaceri a tutte le squadre di Serie A, nessuna esclusa, neanche se stessa però. Vittoria per 2-1 nella San Siro rossonera/pari casalingo tre giorni dopo contro un Sassuolo derelitto, apparso inadeguato alla massima Serie dopo un 7-0 contro l’Inter. Vittoria stoica e meritata in Supercoppa contro la Juventus/sconfitta per 3-1 contro il Palermo di Dybala e Vazquez, senza quasi mai vedere la palla. Alle enormi capacità del Napoli di attaccare e impattare in area avversaria faceva da contraltare un disequilibrio difensivo e un’assenza di variabili di gioco e soluzioni e di lucidità nei momenti centrali dei 90’ e dei nove mesi stagionali.

La soluzione per migliorare il rendimento e i risultati di quel gruppo c’è ed è intrinseca: basta solamente cercarla meglio e, soprattutto, basta trovare l’uomo giusto che la cerchi, poi, insieme ai calciatori. Il 30 aprile del 2015, al Castellani di Empoli, patron Aurelio trova questa chiave mancante e pazienza se gli costa un 4-2 contro l’Empoli perché l’artefice di quel miracolo toscano non gli scapperà più: il colpo di fulmine con Maurizio Sarri è già scattato.