Quando Napoli e Atalanta si sono affrontate ieri al Maradona, e al triplice fischio il risultato è stato di 3-0 a favore di Gasperini, le considerazioni elaborate sono state sostanzialmente due: la prima è che Antonio Conte aveva ragione, la seconda che la città di Pulcinella vive spesso in una sorta di dimensione sospesa, specie quando si parla del tifo radicale che l’ha più volte caratterizzata e resa unica.
Quando in conferenza stampa Conte avverte tutti, sottolineando quanto il Napoli sia un cantiere ancora aperto, e quanto si debba pensare a questa squadra come ad un work in progress – la mentalità dello step by step, del passo dopo passo -, ha ragione. C’è chi lo accusa costantemente di mettere le mani avanti, o chi – e sono i peggiori – lo accusano di fare il piagnone; di lamentarsi quando è alla guida di una Ferrari. La risposta, invece, è che la Ferrari è l’Atalanta, non il Napoli. E dovrebbe bastare a dimostrarlo già soltanto il primo gol, dove l’ingenuità di Politano è palese. L’esterno del Napoli non sale insieme alla linea difensiva, lasciando Lookman in gioco e permettendogli di approfittare del campanile di De Ketelaere. Nessuna colpa a Meret, se l’attaccante, oltre ad essere proprio Lookman, calcia a due passi dalla porta. E difficile è deviare la sua potente conclusione del raddoppio. In quella circostanza, infatti, la responsabilità è più dell’atteggiamento della retroguardia, rea di averlo fatto calciare così facilmente – come si trattasse di un esterno poco pericoloso quando si mette in proprio.
L’Atalanta aggredisce il Napoli e lo fa con la fame e la maturità di una big europea quale è. Vince la gara spesso a centrocampo, a tal punto da rimpiangere Lobotka e a tal punto da credere che l’impostazione degli azzurri nella ripresa sia a dir poco disastrosa. La Dea riconquista la sfera a centrocampo con estrema facilità – è così che nasce anche il tris di Retegui, sebbene forse da un fallo non sanzionato da Doveri (e poco conta) – e con altrettanta facilità mette sempre Lookman nelle condizioni di potersi esaltare. E non solo: Gasperini fa con Kvara ciò che gli azzurri non fanno col nigeriano. Un raddoppio non soltanto costante, ma sempre efficiente che costringe il settantasette ad una partita da anonimo. Lo stesso discorso vale per Lukaku. Il Gasp lo neutralizza giocando uomo su uomo e costringendolo a stare sempre spalle alla porta. E se la funzione del belga è quella di provare a fare da boa, Hien si prende tutta la scena, a tal punto da contendersi il titolo di Man of the match insieme ad un attaccante autore di una doppietta.
Romelu Lukaku spesso ha ricevuto (e riceve) critiche gratuite. Il fatto che a volte non sia decisivo non è solo dettato dalla mancanza della miglior condizione atletica, ma anche dal fatto che la manovra offensiva non coincide esclusivamente col belga. Quando Ngonge subentra al posto di Politano, in fase offensiva dà più la sensazione d’essere pericoloso, perché va anche al tiro. D’altronde non si può di certo aspettarsi che Lukaku regali ad ogni calciatore assist d’oro. Anzi, le manovre offensive è anche giusto che debbano nascere dall’estro di calciatori come Politano o Kvara, o ancora – ed è capitato, ma la buona sorte stavolta non ha sorriso al Napoli – dall’estro di McTominay, unico a rendersi concretamente pericoloso.
E se il Napoli è un cantiere aperto, è anche vero che la città vive in una dimensione sospesa. Difficile è, infatti, che l’entusiasmo suscitato in poco – e, bisogna dirlo, anche in maniera inaspettata – da Antonio Conte rischi di orientare verso un focus poco onesto e corretto. Il Napoli ha in primis l’obiettivo di ricominciare dalla Champions, dimenticando questa stagione in cui non ha avuto accesso ad alcuna passerella europea. Il messaggio di Conte è chiaro: non è certo la vetta della classifica ad eliminare i problemi – con l’Atalanta più che palesati – che continuano momentaneamente ad allontanare il Napoli dalla migliore espressione di calcio che Conte ha in mente. Si vive di progettazione, di passo dopo passo, e anche, come ha sottolineato giustamente l’allenatore salentino, di sconfitte. Quella impartita da Gasperini è una lezione che ridimensiona l’entusiasmo dei napoletani, alcuni già sognatori del quarto scudetto – come se si cullasse un po’ troppo nelle braccia di un destino che ha sempre nelle sue pagine l’intenzione di rendere grande squadra e città. Con Conte, invece, ci si sta nuovamente ricordando – e non che con Spalletti non fosse chiaro – che, predestinazioni e destini già scritti, passano soltanto per il lavoro. E il lavoro è sacrificio.
Con la vittoria di Milano e la battuta d’arresto contro l’armata di Gasperini, la sfida del San Siro contro l’Inter diventa un punto interrogativo. Dopo l’inaspettato tris – inaspettato perché si lascia la testa in preda ai sogni – conterà la reazione che gli azzurri dovranno avere. Con un Inter dalle qualità spiccate, ma certamente più sofferente come ha dimostrato anche la gara casalinga contro il Venezia, il Napoli dovrà fare la sua partita limitando quanto più possibile gli errori. Perché, se può non capitarti contro Como, Monza o Empoli, con le corazzate da scudetto basta un piccolo errore per ritrovarsi a fare i conti con un Napoli-Atalanta bis. Certo è che la trasferta proibitiva di Milano ci dirà quanto Conte aveva ed ha ragione, ci dirà se il Napoli ha la stoffa per considerarsi una papabile candidata allo scudetto.
FOTO: SSC NAPOLI