Il personaggio della settimana- Filippo Inzaghi: le montagne russe del Super Pippo allenatore.

La vita, abbiamo spesso imparato a capirlo, quando vuole sa essere davvero ironica, mostrandosi capace di portarci sulle strade meno immaginabili, non di rado anche decisamente tortuose, trascinandoci in un vortice di alti e bassi tali da farci anche perdere la vista della retta via, e in quelle occasioni dobbiamo essere noi bravi più che mai ad esorcizzare le nostre paure e a gettare il cuore oltre l’ostacolo.

Questo discorso è facilmente applicabile ad ogni ambito della vita, e il calcio più di altri sport è in grado spesso di raccontarci questa determinata tipologia di storie: capita per esempio di riuscire a sfondare come calciatore, di realizzare quelli che in tenera età sembravano niente più che sogni, di diventare un’icona della propria generazione vincendo tutto ciò che è possibile immaginare, costruendosi in tal modo una reputazione di tutto rispetto; capito però anche di appendere gli scarpini al chiodo e una volta rimasti in quello stesso mondo (seppur con un altro ruolo) di faticare ad ingranare, nella peggiore delle ipotesi di andare incontro a dei fallimenti tali da minare la reputazione tanto sudata negli anni precedenti e di essere etichettati come “non adatti” a ricoprire il nuovo ruolo, e in quel caso rialzarsi e riscattarsi a suon di successi e di rivincite non è per tutti, serve un carattere di ferro unito ad una forza di volontà tale da smentire tutti, serve chiamarsi Filippo Inzaghi. Ma facciamo un passo indietro: è la primavera del 2012 quando Super Pippo decide di dire basta con il calcio giocato dopo una carriera leggendaria nella quale tra Juventus e Milan mette in bacheca 3 Scudetti, 3 Supercoppe Italiane, 1 Coppa Italia, 1 Coppa Intertoto, 2 Champions League, 2 Supercoppe Europee e 1 Mondiale per Club, senza dimenticare ovviamente il titolo del mondo vinto con la nazionale italiana nella mitica spedizione di Germania 2006. Insomma, una carriera della quale andare piuttosto fieri, tuttavia Pippo non ne ha ancora abbastanza del calcio e pur non potendo più dare il suo contributo sul rettangolo verde decide di non allontanarsi troppo da esso, sedendosi sulla panchina nelle vesti di allenatore: il Milan, l’ultimo suo club e il suo più grande amore calcistico, come segno di riconoscenza per i fruttuosi anni di onorato servizio decide di offrirgli l’opportunità di crescere all’interno dei propri ranghi, nei quali in due anni allena prima gli Allievi Nazionali e poi la Primavera, svolgendo un ottimo lavoro e conquistando anche un Torneo di Viareggio, quanto basta per convincere la dirigenza per affidargli la panchina della prima squadra per l’annata sportiva 2014/15: due anni dopo Pippo è di nuovo lì, a rappresentare i colori rossoneri in giro per l’Italia, tuttavia è una situazione molto diversa da quella in cui si trovava da calciatore; la squadra è nel pieno di uno rivoluzione tecnica e (di lì a poco) dirigenziale, gli elementi della rosa non sono quelli di qualche anno prima per talento e mentalità vincente, e anche il mercato non regala grandi emozioni.

Le condizioni parrebbero tutt’altro che ideali per un allenatore navigato ed esperto, figurarsi per un uomo che seppur sia un indiscusso campione, è comunque alle prime armi in questa nuova avventura: l’annata infatti è disastrosa, gli alti sono davvero rari, i tonfi diventano una sorprendente abitudine, Inzaghi al di là del senso di appartenenza ha poco da trasmettere ad un gruppo che come detto in precedenza scarseggia di potenziale tecnico, e dopo una stagione conclusa con un tragico decimo posto (tutt’oggi peggior piazzamento dei rossoneri dal 1998) viene esonerato.

La stampa e gli addetti ai lavori con lui sono severi, forse troppo, gli vengono addossate quasi tutte le colpe di quel fallimento, gli viene fatto pesare eccessivamente l’essersi trovato nel posto in quel momento più sbagliato possibile nel momento peggiore, quando doveva ancora formarsi come coach e farlo in quella che ai tempi era un’immensa polveriera non sarebbe stato l’ideale per nessuno.

Sta di fatto che l’esperienza lo segna, a tal punto da prendersi subito un anno sabbatico, nel quale studia e cerca di analizzare cosa lo ha portato a fallire come non aveva mai fatto in precedenza, per poi provare a lavorarci sopra. Nell’estate del 2016 arriva la chiamata del Venezia, allora militante in Serie C ma con l’ambizione di riportare il club ai fasti di un tempo: in un ambiente con meno pressioni e più paziente di quello milanese, Pippo riesce a fare bene, anzi benissimo, l’annata va ben oltre le aspettative iniziali e riesce a vincere un girone di ferro (che vedeva coinvolto anche il Parma oggi saldamente in A) riportando i veneti in B ben 12 anni dopo l’ultima volta, in un annata magica condita anche dal trionfo in Coppa Italia di Lega Pro; la stagione successiva è addirittura superiore per certi versi, in un campionato nettamente più competitivo e con molte più rivali conquista un clamoroso quinto posto che vale i Play-Off, nei quali sarà eliminato solo in semifinale da un Palermo che nonostante i favori della vigilia dovrà sudare le proverbiali sette camicie.

Dopo questo “biennio d’oro” Inzaghi si sente pronto per riprovarci, vuole ritentare la scalata nella massima serie dopo il fallimento di Milano, si sente più pronto, ha masticato cosa vuol dire questo lavoro ripartendo dal basso, è pronto a far ricredere tutti: su di lui punta il Bologna, piazza storica e decisamente importante, sempre in A nell’era moderna tranne rarissimi casi e tradizionalmente avversario ostico per molte big, ha l’obiettivo di creare un progetto solido a medio-lungo termine che gli consenta prima di conquistare un’agevole salvezza e poi passo alla volta tentare l’assalto all’Europa.

Il progetto stuzzica il piacentino ma l’avventura sarà fallimentare: il tecnico fatica ad integrarsi con la tifoseria e il gruppo dopo le prime partite nelle quali il gioco latita e successivamente non riesce a riprendere il controllo della situazione ragion per cui tranne rarissimi raggi di luce (la vittoria casalinga con la Roma) le nubi la faranno da padrone e nel mese di Gennaio Pippo viene esonerato con la squadra in piena zona retrocessione. Il fiasco a tinte rossoblu segna un ulteriore punto di svolta negativo, Inzaghi finisce alla gogna pubblica (specie perché il Bologna senza di lui si salverà), vuoi per la tifoseria mai pienamente convinta sin dal suo arrivo, vuoi per un crollo mentale dopo le prime difficoltà che hanno riesumato i fantasmi del passato, vuoi per giocatori non congeniali al suo credo calcistico, Pippo ne esce male e tutti sono pronti a scommettere che non lo rivedremo mai più in Serie A, anzi è solo l’inizio di un lento ed inesorabile declino; è proprio qui che rientrano in gioco le bizzarre leggi divine che regolano l’Universo, proprio nel momento più buio della sua vita calcistica arriva la svolta, arriva una persona che gli tende la mano e che lo aiuterà a rialzarsi più forte che mai: quell’uomo è Oreste Vigorito, presidente del Benevento, club militante in Serie B ma con l’ambizione di tornare in A dopo l’ultima fallimentare esperienza.

Il connubio sembra perfetto, società e nuovo allenatore hanno entrambi qualcosa da dimostrare, hanno entrambi fallimenti e critiche alle spalle che devono rigettare al mittente, ambo le parti sono motivate più che mai a risorgere dalle proprie ceneri come la più sublime delle fenici: il resto come si suol dire è storia nota, fino alla sosta forzata i Sanniti sono stati protagonisti di un annata che li ha visti dominare in lungo e in largo consolidando il loro margine sulla seconda fino a 20 punti, con un gioco spumeggiante si sono portati ad un passo dal trionfo nella serie cadetta che vorrebbe dire ritorno nel calcio che conta.

La favola dell’Inzaghi allenatore oggi è questa, molto più tortuosa di quella del Super Pippo calciatore, ma non per questo meno avvincente, il piacentino negli ultimi anni ha vissuto cose che nel ventennio precedente non aveva mai visto così da vicino: è stato criticato, preso di mira, etichettato, messo in discussione e il tutto lo ha portato a toccare il fondo; ma da uomo si è rialzato, non si è dato per vinto, ha individuato i suoi limiti e tutt’ora sta facendo il possibile per migliorarli e trarne il meglio.

La Serie A è ad un passo ancora una volta e affrontarla in un contesto familiare, già collaudato, senza periodi di adattamento e senza l’esigenza di conquistarsi in breve la fiducia di società e tifosi potrebbe essere la volta buona per vincere anche questa sfida, la più difficile di tutte allo stesso modo di come affrontava le partite in mezzo al campo da gioco: col coltello tra i denti, sfruttando l’opportunità perfetta facendosi trovare nel posto giusto.

Pio Perna